Cronaca rosanera
Tra le tante opere prime, annunciate dalla direzione artistica della Festa del Cinema di Roma 2020, spicca il primo lungometraggio diretto da Nicolangelo Gelormini. Il direttore di macchina ha scelto di mettersi in proprio dopo un lunghissimo sodalizio con Paolo Sorrentino, al quale ha rubato molti segreti e stilemi. Fortuna, sin dalle prime inquadrature, evidenzia come, a livello di regia, non sarà un film normale. Proprio su sequenze e giochi con la telecamera, il regista mette in mostra il repertorio acquisito dopo anni e anni di esperienza come seconda unità di un maestro del cinema italiano. Il film si basa sull’episodio che ha sconvolto l’Italia: l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo. Ancora oggi i processi giudiziari contro coloro che hanno perpetrato tali abusi, sono ancora in corso a Napoli. Gelormini sceglie questo fatto di cronaca trsferendolo sul grande schermo coadiuvato nella sceneggiatura da Massimiliano Virgilio.
La piccola Fortuna, interpretata dalla giovanissima Cristina Magnotti, è una bambina timida che conduce una vita alquanto curiosa. Ella si crede una principessa proveniente da un altro pianeta. Nella normalità i suoi genitori – Valeria Golino e Libero De Rienzo – la chiamano Nancy. L’esistenza della piccola, in un non noto (nel film) Rione di Napoli, scorre tra situazioni pericolose che contraddistinguono il luogo dove abita. Gelormini non si tira indietro nel mostrare i lati di Napoli più oscuri e odiati. La narrazione è completamente stravolta per via dei suoi giochi di regia. Giochi che la rendono veramente spettacolare ma anche nociva sul lungo termine. A circa metà film, avviene un capovolgimento di fronte degno del passaggio tra la normalità e il sottosopra di Stranger Things. In questo frangente, viene trasposta la vera storia della bambina. Un’inversione di sceneggiatura che sembra provenire dai film del caro vecchio Christopher Nolan ma che, a differenza di quelle del britannico, non sembrano avere una benché minima spiegazione a posteriori. Assistendo alla proiezione, di punto in bianco, succede e basta, senza una logica dietro. Solo chi ha un occhio più arguto e affilato capirà che, nella prima ora di proiezione, abbiamo assistito ad una specie di “quello che mi piacerebbe essere” dal punto di vista della ragazzina. La pesantezza del lungometraggio è manifestata anche dalle interpretazioni non certamente sorprendenti di Valeria Golino e Pina Turco. Soltanto la piccola attrice protagonista mostra una tempra invidiabile di fronte alla telecamera. Guardando a come Gelormini si sia divertito a giocare all’imitazione di Stanley Kubrick, possiamo solo ipotizzare la difficoltà del ruolo interpretato dalla bambina. A questo possiamo aggiungere una sceneggiatura che avrebbe solamente dovuto riportare un fatto di cronaca a metà tra la rosa e la nera, rivelandosi invece un copione arrogante e pomposo. Ben vengano innovatori e sperimentatori, ma non si può pretendere tutto in una volta. Nicolangelo Gelormini pensa che separarsi dal suo maestro gli avrebbe consegnato l’Olimpo del cinema ma così non è. Il regista napoletano si circonda di una superbia indecorosa costruendo un film inadatto per il tipo di situazione narrata. Sarebbe stato perfetto per un’opera di fantascienza. Il finale della pellicola tenta di consegnare una versione, piuttosto fedele, di come siano andati i fatti. Ma non contento Gelormini aggiunge anche una scena nel mezzo dei titoli di coda che evidenziano maggiormente un senso di divinità indecoroso. Le potenzialità di questo regista sono straordinarie. Se Kubrick avesse avuto l’occasione di guarda questo film sarebbe sicuramente rimasto affascinato dalle tecniche usufruite dal direttore di macchina. Ma poi, giudicando la storia, avrebbe detto al giovane autore di tornare con i piedi per terra dedicandosi a qualcosa di meno esagerato.
Stefano Berardo