Nella Natura incontaminata
Se negli anni scorsi non hanno particolarmente destato l’interesse di pubblico e critica lavori come Febbre da fieno (2011) o il collettivo Feisbum (2009), ecco che, probabilmente, anche Fiore gemello, ultima fatica della regista Laura Luchetti, sembra avere tutte le carte in regola per restare impresso nella memoria per molto tempo.
Dal piglio decisamente più autoriale (e anche più personale) degli altri due lavori della regista, il presente lungometraggio mette in scena le singolari storie di Anna (impersonata da Anastasya Bogach) – una ragazza in fuga da un misterioso uomo violento e che, in seguito a un forte trauma, ha perso l’uso della parola – e di Basim, un giovane originario della Costa D’Avorio, il quale, dopo essere stato mandato via in malo modo mentre tentava di aiutare con le buste della spesa i clienti di un grande supermercato, inizia a vagare apparentemente senza meta. I due giovani, inevitabilmente, finiscono ben presto per incontrarsi, per una nuova strada da percorrere insieme. Difficoltà permettendo.
Attingendo a piene mani dalle più spinose questioni riguardanti l’attualità, questo ultimo lungometraggio della Luchetti sfrutta sapientemente il tema dell’immigrazione clandestina senza cadere, tuttavia, in banali luoghi comuni o facili buonismi e senza farne il perno centrale dell’intero lavoro. Fiore gemello è, di fatto, la storia di due solitudini che si incontrano, la storia di un sospirato ritorno all’innocenza e ai sentimenti più puri. Malgrado un mondo esterno ricco di insidie e di cattiveria.
Un lavoro fatto di silenzi, questa ultima produzione di Laura Luchetti. Un lavoro in cui la parola – ciò di cui la protagonista perde l’uso – non sta più alla base della comunicazione, bensì la comunicazione stessa riesce a instaurarsi tramite un raffinato gioco di sguardi e, soprattutto, soltanto nel caso in cui ci sia la reale voglia di conoscersi e di riconoscersi.
Se c’è una critica che può essere mossa, di primo acchito, a un lavoro come Fiore gemello, è probabilmente il fatto che l’intera storia sembra alquanto campata in aria. Eppure ciò può essere considerato un errore quasi veniale, se si pensa alla finalità di intenti, qui appieno soddisfatta. Con un copioso uso di flashback, dunque, lo spettatore è in grado di ricomporre lentamente le storie dei due ragazzi (sebbene quella di Basim sia fortemente penalizzata, per quanto riguarda lo spazio dedicato,rispetto a quella di Anna). La macchina da presa, dal canto suo, usata rigorosamente a spalla e con un frequente uso di primi piani, ben riesce a caratterizzare ogni personaggio messo in scena e a dare quel gradito tocco di realismo che tanto si sposa bene con la storia qui raccontata.
E poi, non per ultima, c’è la natura e, nello specifico, la splendida terra della Sardegna. Una terra, la presente, tanto misteriosa quanto capace di inghiottire cose e persone, spettatrice di immani tragedie e custode di numerosi segreti. La Sardegna è, qui, trattata praticamente alla stregua di un ulteriore protagonista, senza della quale le vicende di Anna e Basim non sarebbero le stesse.
E così, con un inno alla libertà e alla voglia di fuga che tanto sta a ricordarci il cinema di Claudio Giovannesi, Fiore gemello potrebbe aiutare Laura Luchetti a classificarsi come uno dei nomi da tenere maggiormente d’occhio all’interno del panorama cinematografico nostrano.
Marina Pavido