Home AltroCinema SpazioItalia Festina lente (Affrettati lentamente)

Festina lente (Affrettati lentamente)

356
0
VOTO: 8

Vittoria Colonna e gli spiriti magni del Rinascimento

Sarebbe senz’altro riduttivo considerare Festina lente (Affrettati lentamente) alla stregua di un valido biopic incentrato sulla figura di Vittoria Colonna, per quanto la centralità di tale figura sia evidente nel film. L’autrice, nel portare sullo schermo gli episodi più rilevanti che hanno caratterizzato la vita della protagonista (interpretata con freschezza e intensità dalla lanciatissima Francesca Ceci), ha dato voce in realtà al fitto, complesso, emblematico reticolato di rapporti che lei intrattenne con alcune tra le personalità più significative dell’epoca, sul piano di delicati equilibri politico/religiosi e – soprattutto – sul piano della cultura. Dal ruolo in chiaroscuro (più scuro che chiaro) di un soglio pontificio conteso da illustri (ed eticamente “discutibili”, come i Borgia) famiglie di Roma, fino a quel risveglio della ricerca umanista, passato anche attraverso il contributo che la stamperia di Aldo Manuzio a Venezia seppe dare alla libera circolazione delle idee e alla nascita di un’editoria in senso moderno.

Prima di approfondire, seppur fugacemente, tali temi, occorre dire cosa Festina lente è da un punto di vista prettamente cinematografico: un piccolo miracolo. Siamo giustamente abituati a considerare i prodotti cinematografici e televisivi realizzati in costume (anche al di là del loro differente valore artistico) qualcosa di particolarmente dispendioso, nonché difficile da gestire, sul piano produttivo. Ebbene, con uno spirito quasi alla Silvano Agosti, la regista Lucilla Colonna è riuscita a dar vita a un film totalmente autoprodotto che proprio nei costumi, nei colti riferimenti musicali e nel ricorso a location appropriate (spazi di epoca rinascimentale a Fabriano nelle Marche, come anche Forte Sangallo e Torre Astura sulla costiera laziale, in quel di Nettuno) ha uno dei suoi punti di forza, tanto che il senso del periodo storico in cui è ambientato il racconto ne esce fuori con naturalezza. Miracoloso è quindi il taglio di un prodotto cinematografico a dir poco indipendente che con ingegno ha saputo abbattere i costi delle riprese, avvalendosi comunque di ottime professionalità sia in quanto a contributi tecnici (l’elegante fotografia e il così fluido montaggio) che come presenze attoriali, il che si riflette peraltro in immagini di qualità cristallina. Ma, soprattutto, è da rimarcare che questo impegno sul set si è poi tradotto in una rilettura dei personaggi e del clima storico dal carattere assai maturo, consapevole. In certe scene fa capolino l’essenzialità insita in certe pellicole di Manoel de Oliveira o di altri maestri del cinema portoghese, mentre il metodo utilizzato per approdare alla verosimiglianza storica non pare certo immune dalla lezione rosselliniana.

Ciò ci offre lo spunto per azzardare ipotesi su come viene inserita la vicenda biografica di Vittoria Colonna, già ricca e anticipatrice (di fermenti culturali nuovi, come anche del ruolo più attivo della donna nella società) di suo, in quel contesto storico così peculiare. Il ricorso a determinate simbologie, la scelta di location talmente evocative, la singolare (e per nulla casuale) galleria di figure che accompagnano la maturazione pubblica e privata della protagonista, la stessa cura dei dettagli allorché si intende rievocare le tensioni ideali di un’epoca, sono tutti elementi che sembrano guardare oltre gli stilemi classici di un qualsiasi racconto di formazione approdando a un vero e proprio percorso iniziatico. Non così diverso, volendo, da quelli che ci sono stati tramandati dalle tradizioni alchemiche.

È un po’ come se le tre fasi alchemiche (nigredo, albedo e rubedo) scandissero le tappe della vita di Vittoria Colonna, così come ci viene mostrata sullo schermo. Dallo smarrimento iniziale, dovuto alla confisca delle terre e alle altre disposizioni con cui il Papato volle colpire la sua famiglia, fino ai successivi passaggi che segnano, sul piano della consapevolezza interiore, una progressiva maturazione e una forza sorprendente nel tener testa anche alle avversità. Verrebbe quasi voglia di accostare il plot del film ad altri significativi percorsi, come quello immaginato da un altro Colonna, Francesco Colonna, in un testo dell’epoca pubblicato in forma anonima anche per evitare le ritorsioni del caso, che sennò avrebbero duramente colpito l’autore per certi elementi cripto-pagani: parliamo qui della Hypnerotomachia Poliphili (ipnerotomàkia polìfili), ossia “amoroso combattimento onirico di Polifilo”, romanzo allegorico stampato proprio da Aldo Manuzio nel 1499, con 172 xilografie. In quell’opera a essere tracciato era il percorso classico dell’eroe, mentre in Festina lente a salire alla ribalta è una coscienza femminile dotata di eccezionale sensibilità e sicuramente molto avanti, rispetto ai suoi tempi.

Oltre che dall’accuratezza tecnica e stilistica la buona riuscita di questo progetto cinematografico è stata senz’altro favorita dalla passione con cui gli interpreti hanno lavorato: con la protagonista Francesca Ceci vanno senz’altro menzionati Francesco Bolo Rossini nel ruolo del turbolento fratello di Vittoria, Rimi Beqiri nei panni del fido Baccio, ed Ornella Saracino che in quanto cantante dalla voce educatissima ci ha fatto anche scoprire sonorità dal sapore antico. Cosa di per sé strana, ma neanche troppo trattandosi dell’Italia, i primi a usufruire in sala di tale spettacolo sono stati gli spettatori americani di un festival dell’Iowa, il Wild Rose Film Fest, manifestazione cinematografica a carattere indie che per giunta ha premiato Lucilla Colonna e la sua crew con ben 4 premi e qualche menzione speciale. Mentre per poterlo vedere sul grande schermo anche in Italia si è dovuto aspettare queste giornate, con la seguitissima proiezione svoltasi a Fabriano la sera del 20 giugno e un ormai imminente duplice appuntamento: a Nettuno, nell’ambito del Tracce Cinematografiche Film Fest, e in Campania, nella selezione ufficiale dell’Ischia Film Festival.

Stefano Coccia

Articolo precedenteIntervista a Giorgio Amato
Articolo successivoEstate violenta

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

20 − sei =