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Fedeli d’amore

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VOTO: 8,5

Immaginario dantesco vivo, pulsante, tra lo schermo e il teatro

Non poteva che far tappa al Ravenna Nightmare Film Fest 2022, dove altre sue opere sono state presentate negli anni scorsi, il nuovo lavoro cinematografico di Marco Martinelli, ardita intersezione di una precedente esperienza teatrale e di una sperimentazione filmica sempre più libera e giocosa. Forse anche la più ricca, giudizio personale, posta in essere finora.
Sebbene la premiere del film Fedeli d’amore, riscrittura come sempre molto creativa dello spettacolo andato in scena la prima volta pochi anni fa, risalga al 20 novembre 2021 (data della proiezione avvenuta a Milano durante il FilmMaker Festival), questo suo passaggio ravennate ci impone qualche riflessione. Pensieri riguardanti sia la tempistica dell’evento che l’attualità dell’immaginario dantesco. Sì, perché in fondo questa è anche la stagione cinematografica che ha visto approdare nelle sale l’altro tributo, concepito in una forma decisamente più tradizionale, firmato da un Maestro della settima arte come Pupi Avati. E a noi piace vederle come due operazioni in qualche misura complementari, nella diversità delle strade intraprese.

Biopic dal timbro rustico, con qualche significativo scorcio visionario ma sostanzialmente “classico” nella sua architettura diegetica, il Dante di Pupi Avati riflette innanzitutto quel versante colto dell’autore (ancor più prezioso in un panorama asfittico quale troppo spesso è, oggigiorno, quello delle produzioni mainstream realizzate in Italia) evidente qui sia nella scrupolosa ricerca filologica che nella comunque acuta interpretazione del personaggio, un ribelle e un anticipatore sotto vari aspetti, compreso quello politico.
All’acume e alla lungimiranza del pensiero dantesco vi si può arrivare anche in altri modi. E quello per cui ha optato Martinelli si rivela a tratti esaltante.
Degno d’esser qui raffigurato in guisa di direttore d’orchestra dai modi ispirati, per la partitura di Fedeli d’amore l’autore ha potuto inoltre contare su strumentisti d’eccezione: Ermanna Montanari, con la sua voce in grado di reinventare la realtà o comunque di scoperchiarne l’essenza più profonda, e il compositore Luigi Ceccarelli, le cui sperimentazioni musicali aprono sorprendenti scenari metafisici cumulando note stridenti, ammalianti suggestioni atmosferiche e un “disegno” del suono tendenzialmente espressionista, conturbante, ossessivo.
Con un simile tappeto sonoro a disposizione, Marco Martinelli ha saputo trasfigurare quel poemetto scenico da lui concepito “attorno” a Dante ricavandone cupi, “infernali” tableaux vivants e piccole burle derivanti dal montaggio (vedi l’epifania deliziosamente grottesca e popolare al contempo dell’asinello), una straniante osservazione dall’alto degli stessi territori attraversati un tempo dal Sommo Poeta, laddove acqua e terra si alternano come in un acquarello, e altrettanto ispirati apologhi sul potere; su tutti, impressionante è in tal senso lo spezzone che vede Ermanna Montanari agire con il colore sulla mappa della penisola, partendo dall’invettiva dantesca per poi aggiornare beffardamente il bestiario italico attraverso una voce che diventa essa stessa un mantra, una metrica antica e post-moderna assieme, adatta quindi a sondare le crepe di ieri e di oggi.

Il viaggio nell’immaginario dantesco intrapreso in Fedeli d’amore si presenta quindi ricco sia filosoficamente che a livello puramente stilistico: i cambi d’umore del lungometraggio sono frequenti, mai però immotivati, il che lascia anche ammirare in filigrana soluzioni espressive che ci hanno ricordato, almeno in parte, grandi ibridatori di forme artistiche e concettuali del recente passato: Derek Jarman, Straub e Huille, volendo anche Ciprì e Maresco (qui magari è lo sconfinamento nel bianco e nero a suggestionarci). Un po’ come se la poetica di tali veggenti, di questi memorabili apripista, pulsasse assieme alla cangiante e comunque assai consapevole manipolazione dell’opera dantesca, senza prevaricare in ogni caso né l’anima possente del Sommo Poeta nè l’essenza della ricerca avviata da Martinelli stesso. Una ricerca comunque personale, originale, profonda, nata quale fecondo cortocircuito tra la pluridecennale esperienza del Teatro delle Albe e la volontà di esplorare tutto il potenziale del linguaggio audiovisivo.

Stefano Coccia

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