“La verità vi renderà liberi”
Quando si arriva ad avere alle spalle una carriera di un certo tipo, con anche anni e anni di esperienza com’è nel caso di Marco Bellocchio, innegabilmente si crea nello spettatore così come negli addetti ai lavori un’aspettativa differente. Forse anche pensando ad alcune reazioni giornalistiche, magari c’è chi diventa anche particolarmente esigente ed intransigente quando si approccia alle opere di questi artisti. Personalmente ciò che si è provato a fare ad esempio con Sangue del mio sangue e ora con Fai bei sogni è di pensare a questi lungometraggi come opere in sé, senza caricare la visione di chissà quali retropensieri, e, al contempo, inserendoli in una poetica autoriale ben riconoscibile e che, a suo modo, mette in discussione.
Il film nasce dal bestseller omonimo scritto dall’attuale vicedirettore de La Stampa, Massimo Gramellini, a cui ha scelto di rimanere fedele per il plot che racconta e gli affetti che mette a tema, eppure il regista di Bella addormentata è riuscito a far suo ciò che era stato scritto e pensato da un altro. Uno dei punti di forza di Fai bei sogni – opera presentata al Festival di Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs e ora in sala con 01 Distribution – sta nel riuscire a far emergere l’universalità degli affetti che coinvolgono tutti noi, attraverso una storia particolare sviluppata con una recitazione che spesso lavora in sottrazione, pensando nello specifico al ruolo di Valerio Mastandrea. È lui a dar volto a Massimo, il giornalista cresciuto, tifoso del Torino, con un episodio fondamentale della sua infanzia ancora da sciogliere e metabolizzare.
Troppo frequentemente si pensa che i bambini non possono comprendere e che quindi sia più giusto o salutare, che dir si voglia, celare la verità, dicendo mezze verità o facendo prevalere l’oblio. Questo subisce il piccolo Massimo all’età di nove anni quando scopre che sua madre è morta.
La sceneggiatura, scritta insieme a Valia Santella ed Edoardo Albinati, scava laddove razionalmente non si vorrebbe arrivare, anche solo per la paura di scoprire la verità. Le immagini che ci provengono dal passato che si intreccia col presente ci mostrano un rapporto idilliaco tra madre (Barbara Ronchi) e figlio (Nicolò Cabras) e sin da subito lo spettatore intuisce che qualcosa sta per spezzarsi. Non è la prima volta che questo cineasta affronta l’elaborazione del lutto, in Fai bei sogni essa si mixa con un’aurea di mistero che avvolge quella morte di una figura così cara.
Pier Paolo Pasolini era stato così eloquente in “Supplica a mia madre” nel descrivere ciò che la mamma arriva a rappresentare e a essere per il figlio. «Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,/ ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore./ Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:/ è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia./ Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data». La verità espressa in questi versi viene, appunto, amplificata da ciò che Massimo non sa di ciò che è davvero accaduto quel 31 dicembre del 1969. Quello che sicuramente ha provato e che è una delle costanti indagate nella filmografia del regista bobbiese: l’assenza, declinata anche come mancanza. Si prova la mancanza di qualcosa o di qualcuno se la si è anche solo sfiorata o assaporata e Massimo sa bene sulla sua pelle cosa significhi non avere più, tra l’altro improvvisamente, la mamma – anche per questo sarà chiamato a fare un atto giornalistico che non vi sveliamo. Gli alleati di questo ragazzo cresciuto sono Belfagor e Nosferatu, figure presenti nei racconti di infanzia e che continuano a tornargli in mente, proprio come i fantasmi del passato con cui non si son fatti ancora i conti. Tutti gli altri che, invece, gli ruotano anche fisicamente attorno indossano le maschere della menzogna e questo è uno dei tratti che più ci avvicina al protagonista. Emblematica e significativa, seppur di breve durata, è la scena con l’industriale Gardini (un sempre impeccabile Fabrizio Gifuni) in cui emerge come Massimo viva la professione giornalistica, ma anche il contraltare e lo sguardo, invece, di altri “tipi” nella nostra società. In Fai bei sogni c’è tutta la poetica della macchina da presa di Bellocchio (con studiatissime messa in scena e in quadro), qui a servizio dello svelamento, ma c’è anche tutto il mondo, compresa la visione della Chiesa che fa incursione sottilmente. Un’assenza inspiegabile della vita di ognuno di noi ce la si porta dietro con sé e il Massimo adulto porta i segni di tutto ciò «finché questa corazza di indifferenza, per circostanze complesse e incontri solo apparentemente casuali, non incomincerà ad incrinarsi» (dalle note di regia). «Questa storia mi ha molto colpito, coinvolto, perché vi ritrovo tanti temi che ho affrontato spesso nei miei film precedenti… La famiglia, la mamma (distrutta anche materialmente, proprio assassinata), il babbo, la casa dove si svolge la metà del film, la casa in epoche diverse, trent’anni almeno, nei quali l’Italia cambia radicalmente… E la vediamo l’Italia che cambia proprio anche dalle finestre di casa… E infine Roma, Sarajevo, Torino, l’Italia vista e vissuta da chi fa di mestiere il giornalista». Fai bei sogni è un viaggio non solo nel passato non archiviato come tale, ma anche nelle zone più ombrose, quasi da misantropo del protagonista. Scoprire come tutto questo viene sviluppato e come si evolve merita la visione del film.
Completano il cast Bérénice Bejo, Guido Caprino, Dario Dal Pero, Linda Messerklinger, Miriam Leone, Arianna Scommegna, Emmanuelle Devos, Fausto Russo Alesi, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka.
Maria Lucia Tangorra