Certi amori non finiscono
Eva è regista, Candela attrice protagonista del suo primo film. Entrambe sono trascinate da un’attrazione fatale e dal desiderio condiviso di avere successo nel mondo del cinema. La passione che alimenta il rapporto crea fra di loro un’intimità affascinante, ma col tempo la relazione subisce dei cambiamenti, forse condizionata in parte anche dall’ambizione professionale che condividono, e slitta dall’innamoramento e dalla sensualità verso la tenerezza e l’abitudine.
Indipendentemente che si tratti di una relazione etero o omosessuale, la love story al centro di Eva + Candela segue per filo e per segno le traiettorie narrative e drammaturgiche del dramma sentimentale, con quel tocco di melò che non manca mai. Proprio questo ricalcare in maniera fedele e pigra un modus operandi ampiamente codificato e logoro, senza provare quantomeno a dare delle pennellate personali nella scrittura e nella sua trasposizione, rappresenta il tallone d’Achille dell’opera prima di Ruth Caudeli, presentata in anteprima italiana nella competizione lungometraggi del 33esima Festival Mix Milano.
La conseguenza diretta è una timeline scandita da un flusso narrativo frammentato che racconta e mostra l’evoluzione di un rapporto sentimentale travagliato tra due donne forti e indipendenti, ma non estranee a fragilità, paure e incertezze. Un tipo di ritratto, questo, dipinto innumerevoli volte sul grande schermo, tanto da provocare nella mente dello spettatore di turno una catena infinita di déjà-vu che riporta a pellicole di ieri e di oggi (da Io e lei a Carol, passando per La vita di Adele) e in generale a situazioni ampiamente prevedibili. Al pubblico, dunque, non resta che assistere alle tappe e alle fasi che dalla nascita portano alla messa in discussione della relazione tra le due protagoniste, con in mezzo crepe che si fanno fratture, lontananze fisiche che diventano distanze emotive, una maternità che le mette costantemente alla prova, carezze che si tramutano in orgasmi fugaci, tradimenti, bugie e mezze verità che fanno barcollare l’architettura amorosa.
Il tutto appare come un copione già scritto, letto e riletto sino allo sfinimento, che lascia a chi guarda solamente dei lampi di coinvolgimento emotivo che scaturiscono dalla bravura delle due interpreti (Alejandra Lara e Silvia Varón) e dalla verità che trasuda dai dialoghi, quest’ultimi a nostro avviso le note positive di un’opera che non riesce a oltrepassare la mera superficie.
Francesco Del Grosso