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Euthanizer

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VOTO: 7.5

Soluzione permanente

Storicamente i cosiddetti B-movie non hanno mai goduto dei favori e del rispetto da parte della critica e degli addetti ai lavori, bollati nella stragrande maggioranza dei casi da quest’ultimi con accezioni negative, trattati come prodotti audiovisivi di serie Z e presi di mira con un vero e proprio tiro al bersaglio. Poi c’è chi nel mondo della Settima Arte ha riservato alla suddetta categoria ben altro trattamento, chi lo ha sempre preso in considerazione e a modello, facendone fonte inesauribile di ispirazione dal quale attingere a piene mani. Tra questi appare scontato il nome del buon vecchio Quentin Tarantino, molto meno, poiché non della stessa risonanza, quello di Teemu Nikki, prolifico ed eclettico cineasta finlandese che, con la sua ricca filmografia alle spalle fatta di spot, videoclip, cortometraggi, serie tv e lungometraggi, ha dimostrato quanto e cosa si può fare abbracciando quel modus operandi.
Per lui il B-movie, alla pari del connazionale Timo Vuorensola (autore di cult come Iron Sky e Star Wreck: In the Pirkinning), è stato e continuerà ad essere a tutti gli effetti un cinema di serie A, che non merita di essere rilegato nei bassifondi delle produzioni delle varie latitudini o ghettizzato nel circuito festivaliero di settore a causa di un diffuso pregiudizio. Proprio in virtù di questo e delle dichiarazioni d’amore più volte da lui rilasciate a favore di quel modo di fare e concepire la Settima Arte, Nikki ha costruito pezzo dopo pezzo il suo lavoro dietro la macchina da presa, compreso quello sulla lunga distanza destinato al grande schermo. Tre al momento sono i tasselli che lo vanno a comporre ed è proprio dell’ultima sua fatica cinematografiche che vi vogliamo parlare, ossia di quel Euthanizer che, dopo la premiere al Festival di Toronto 2017 e il premio per la migliore sceneggiatura a quello di Tokyo sempre nel 2017, é approdato sugli schermi milanesi nel concorso della 27esima edizione del Noir in Festival, in attesa della futura distribuzione nelle sale nostrane con I Wonder Pictures.
Dopo il frullato di generi facenti capo allo Sci-Fi con il quale ha dato vita nel 2015 a Lovemilla (presentato l’anno seguente al 36° Fantafestival), il cineasta scandinavo ha deciso di puntare diritto sul revenge/exploitation vecchio stile, lasciando che pellicole di genere dal carattere anni Settanta come Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! o Death Wish, ma anche opere del calibro di Taxi Driver e altri film violenti con un forte vigilante come protagonista, ne influenzassero tanto le pagine dello script quanto ogni singola inquadratura, ma in primis il disegno e la costruzione del personaggio principale. Euthanizer e chi lo anima, infatti, nascono e hanno preso forma da quel vasto bacino al quale abbiamo fatto e ha fatto riferimento Nikki quando ha scelto di portare sul grande schermo la storia di Veijo Haukka, un meccanico cinquantenne, che come secondo lavoro mette “a riposo” gli animali malati e che un giorno decide di salvare il cane della persona sbagliata. Come questa scelta segnerà in maniera indelebile il suo destino, la risposta la lasciamo allo schermo. Quello che possiamo dirvi è che l’arco narrativo va di pari passo con l’escalation di violenza che si trova suo malgrado ad attraversare il protagonista, che i critici hanno definito un boia dal cuore tenero e il regista una sorta di “Ispettore Callaghan” degli animali. Insomma, un vigilantes e un giustiziere della notte che restituisce ai cattivoni di turno le sofferenze inflitte agli esseri viventi a quattro e due zampe. E a dare forza e consistenza emotiva a un personaggio solo apparentemente semplice ci pensa Matti Onnismaa, qui alle prese con il suo primo ruolo da protagonista dopo una sfilza di secondari. Bravo Nikki ad averne capito il potenziale inespresso e ad avergli affidato la parte.
Euthanizer è film che ruota intorno ai diritti degli animali, alla sofferenza e alla morte. Tuttavia, il tema principale non riguarda il bene e il male, bensì la totale stupidità degli uomini. Sotto la veste del crime e del racconto di genere si nasconde, infatti, una stratificazione e uno spessore tematico che alza il peso specifico della drammaturgia. Il cineasta finlandese dimostra di non avere remore e paure nel trattare certi delicati argomenti, in particolare quello dell’eutanasia che farebbe tremare i polsi a chiunque. Nikki non indietreggia, non certa una campana di vetro dove proteggersi e proteggere la sua opera da potenziali attacchi. Al contrario, lo affronta di petto stando sempre sul limite, camminando sulla linea che separa la plausibilità del dramma da quella dello humour. Ne viene fuori una convincente black-comedy.

Francesco Del Grosso

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