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Embers

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VOTO: 7

Ti ricordi, ti ricordi, ti ricordi, ti ricordi?

Quando le tracce narrative di base del nolaniano Memento, nonché le feconde intuizioni attribuibili a tale pellicola, si incontrano col drammatico scenario di un futuro post-apocalittico: potrebbe essere descritto anche così, il film che all’ultima edizione di Science + Fiction a Trieste si è aggiudicato il Premio Asteroide.
Concepita negli Stati Uniti ma con un appeal internazionale, ravvisabile sia nelle scelte di casting che nelle location polacche (in cui il degrado di certi paesaggi post-industriali si sposa perfettamente col mood generale), l’opera prima di Claire Carré indaga non banali prospettive filosofiche ed esistenziali, con un apprezzabile minimalismo che ne contagia l’essenziale, per quanto frammentata, struttura filmica, assieme ai toni stessi della narrazione. In Embers una galleria di personaggi tutti in qualche modo interessanti, dotati di notevoli potenzialità (non sempre però sfruttate a dovere), introduce lo spettatore a scenari di un futuro a noi prossimo, caratterizzato dalla fantomatica epidemia che si presume abbia flagellato il genere umano, intaccando in profondità i meccanismi della memoria.

La regista si è pertanto esercitata ad immaginare le conseguenze del disastroso “blackout” collettivo, su alcuni destini individuali. C’è ad esempio la giovane coppia che si è riproposta, ad ogni risveglio in cui l’uno non sa bene chi sia l’altra, di mettere a punto un metodo che consenta loro di recuperare, almeno in parte, la cognizione del rapporto da cui sono legati. Dai tatuaggi di Memento a quei fiocchetti azzurri usati come braccialetto il passo non è poi così lungo.  Così come vi è la ragazza reclusa assieme al padre in un bunker iper-accessorato, dove lo strano morbo ha avuto un effetto ridottissimo, che deve decidere se lasciare o meno quel luogo confortevole ma in fondo solitario, claustrofobico, per trovare all’esterno altre persone, anche a rischio di perdere i propri ricordi. E nella strana fauna che caratterizza questo “limbo” moderno c’è anche qualche cane sciolto che, pur condannato all’oblio, alla rimozione della propria condizione passata, ha conservato intatti certi istinti aggressivi…
Un film come Embers ha senz’altro dalla sua ambizioni notevoli, sia sul piano narrativo (che aspira invero a una certa originalità di vedute) che per le conseguenti speculazioni sulla natura umana, sull’importanza del ricordo, sulle relazioni con gli altri. Il modo in cui viene condotta tale indagine ha senz’altro il suo fascino. Peccato, semmai, che qua e là l’incisività del racconto (o meglio: delle singole parabole umane qui messe a nudo) si affievolisca, facendo ristagnare un po’ certe storie in attesa di quel finale che, nella sua semplicità, riesce comunque a far riflettere sull’angosciante anormalità e sui vari scompensi, di cui lo scenario ipotizzato inevitabilmente abbonda.

Stefano Coccia

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