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Dunkirk, racconto di una première

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La prima volta di Dunkirk

Eccomi qua, a Leicester Square, circondata da un nugolo di ragazzine urlanti perlopiù fan di Harry Styles che hanno la metà dei miei anni. Un lungo cammino mi ha portato fino a qui, e sono qui per Nolan, perché i suoi film hanno accompagnato la mia vita correndo paralleli alle mie vicissitudini personali. Personalmente, finora il più importante è stato Interstellar. Ed è a causa di Interstellar se oggi sono alla Première mondiale di Dunkirk.

Arrivo all`Odeon intorno alle h. 11.00 e incontro un’amica, anche lei fan di Nolan, che è stata così gentile da procurarmi un braccialetto il giorno prima, senza il quale non è possibile partecipare alla première . Ci sono ragazzine inglesi, italiane e spagnole informatissime e agguerritissime: la piazza è stata divisa in cinque settori, ognuno contraddistinto da uno specifico colore.
Alle h. 13.00 ci esortano a metterci in fila in base al colore del bracciale: io ho il blu n. 140. Prima di entrare, mi perquisiscono e controllano la mia borsa. Sono a sinistra del palco in seconda fila, non male, perlomeno lo vedrò passare. Davanti a me ci sono un paio di fans di Tom Hardy e la mia amica suggerisce di fare un accordo con loro: quando passerà Nolan ci faranno temporaneamente avanzare. Si dimostrano disponibili. Passano le ore, l’inizio della première è prevista alle h. 17.00, pertanto non c`é tempo di mangiare, bere o andare in bagno, perderei la posizione faticosamente acquisita! Però comincio a sentire dolori alle gambe ed alla schiena e penso: “Queste cose bisogna farle a vent’anni“.

Alle h. 17.00, puntualissimo arriva Fionn Whitehead vestito elegantemente e comincia a firmare autografi e a farsi selfie con i fan (verrà poi anche verso di me e mi farà l`autografo).
Successivamente, a distanza di 10 minuti l’uno dall’altro, arrivano anche gli altri giovani membri del cast: Aneurin Barnard, Jack Lowden, Barry Keoghan, Tom Glynn-Carney, tutti eleganti, sorridenti e molto affabili con gli ammiratori. In seguito, arrivano i Big: Cillian Murphy, Tom Hardy, Mark Rylance, Kenneth Branagh e James D’Arcy. Solo Mark Rylance e James D’Arcy si avvicinano al mio settore, mentre gli altri passano oltre nonostante vengano chiamati a gran voce. Cillian Murphy perlomeno mi saluta da lontano con la manina. Tom Hardy, invece, cerca di avvicinarsi ma viene trattenuto da una tizia.
Arriva anche Harry Styles e le ragazzine vanno in visibilio; la sedicenne alla mia sinistra piange. O mamma! Non si capisce più nulla.

Infine arriva lui, Nolan, insieme alla moglie. Ma non doveva arrivare per primo? Così mi avevano assicurato le “veterane” della première molte ore prima. Fa un rapido giro e firma qualche autografo, ma non si avvicina al mio settore, nonostante venga chiamato più e più volte e non solo da me. Ad un certo punto, la mia amica urla: “Emma!!!” nella vana speranza di farli avvicinare entrambi. Niente. Si dirigono spediti verso il palco per la consueta intervista. Finita l’intervista, Nolan si mette in un angolo del palco, lo chiamo insistentemente:”Mr. Nolan!!!“, lui si gira verso di me (sono ormai l’unica a chiamarlo), lo saluto con la mano, sperando che si avvicini, ma lui scompare all’interno dell’Odeon, dove, nel frattempo, sono arrivati anche gli ormai novantenni veterani di Dunkirk, anche loro applauditi come star, e il principe Harry. Seguono le foto di rito che vediamo solo attraverso il maxischermo.

Un pochino delusa (so che lui non ama queste cose, vabbè, ci ho provato), lascio Leicester Square e mi dirigo verso il BFI poiché ho acquistato a suo tempo il biglietto per la preview di Dunkirk che comincia alle 20.15 e sono già le 19.20: che ansia! Durante il tragitto penso che, forse, in un’atmosfera più “intima” e rilassata ci potrà essere l’occasione di avvicinarlo, non tanto per farmi autografare lo screenshot di Inception che ho portato con me, o per farmi una foto con lui, ma per dirgli due parole.
Arrivo al BFI e ci sono già molte persone, alcune in coda per ritirare il biglietto, altre si sono posizionate nel corridoio che precede l’ingresso della sala con la speranza di poterlo incontrare: “L’altra volta è passato di qua“. Io penso subito: “Stavolta entrerà da un ingresso laterale, non lo fregate più!“. Infatti è esattamente quello che accadrà di lì a poco. Senza troppa convinzione mi aggrego a loro, per la regola del “non si sa mai”. Siamo in pochissimi, circa otto persone e mancano ormai quindici minuti all’inizio della Preview.
Attendiamo fissando insistentemente l’ingresso da dove dovrebbe arrivare, mentre ogni cinque minuti viene annunciato, da una sinistra voce, quanto manca all’inizio dell’anteprima. Quando ormai mancano pochi minuti, desistiamo ed entriamo in sala. Faccio appena in tempo a raggiungere il mio posto che, immediatamente, compare una signora sul palco che lo presenta: “Aspettava solo che ci sedessimo!“.

Nolan entra in sala con la moglie, sale sul palco e fa un piccolo cenno di saluto con il capo come un sovrano. La platea lo accoglie calorosamente, ma, stranamente, non sono così emozionata come avevo immaginato pur essendo in quarta fila. Sì, mi tremano le mani mentre faccio le foto ma pensavo peggio. Seguono dieci minuti di introduzione in cui si parla dei formati in cui è stato girato il film e soprattutto delle riprese sott’acqua con la camera Imax che, secondo Nolan, era debitamente bardata, secondo Emma un po’ meno. Tutti sorridiamo, e mentre lo osservo uscire a capo chino fra gli applausi avverto il suo disagio e penso: “Dovrebbe farsi una canna per rilassarsi“.

Comincia il film, finalmente.
Il mio inglese è ben lungi all’essere perfetto e non riesco a percepire alcune battute, ma, mi consolerà sapere poi, alla fine della proiezione, che anche le mie amiche molto più esperte di me non hanno capito qualcosa. L’audio sembrava ovattato, per cui una seconda visione in Imax si rende a questo punto assolutamente necessaria. Per fortuna ho già il biglietto per la visione in Imax il 21 luglio alle h.21.00 sempre al BFI! Durante la visione del film non sono riuscita a stare ferma sulla mia poltrona, come in preda ad una profonda inquietudine, mi giro e mi rigiro più volte nel mio posto, accavallo le gambe alternativamente, mi sporgo in avanti… un’anima in pena. Sento anche male ai piedi e provo l’irresistibile impulso di togliermi le scarpe, ma il comune senso del pudore mi trattiene.

A fine film, però, resto immobile, incapace di raccogliere le idee e di organizzarle in modo logico e organico. La sala si svuota lentamente, in pochi restiamo seduti mentre scorrono interamente i titoli di coda. La mia amica, anche lei fan di Nolan, si alza e viene verso di me; anche io mi alzo e le vado incontro: “Non so cosa dire“, lei sorride e ci abbracciamo. Tornando verso casa parliamo un po’ del film, ma all’improvviso mi viene in mente che non ho né mangiato né bevuto per tutto il giorno! Non si vive solo di Nolan, anche perché se così fosse sarei già morta!
Mentre addento un tramezzino, penso che vorrei rivedere immediatamente il film, invece, dovrò attendere una settimana. Merda!
Solo il giorno successivo, in serata, ritroverò la lucidità per poter mettere in forma scritta pensieri, emozioni ed impressioni.
La seconda visione in Imax, sempre al BFI, me la sono goduta di più: non solo per le ragioni che si possono facilmente intuire, ovvero il gigantesco schermo, il miracolo visivo della pellicola in 70 mm o perché il suono questa volta è perfetto, ma perché sono molto più rilassata e riesco a concentrarmi sui dettagli. E’ divertente lasciarsi rapire dallo schermo e trovarsi catapultati nel 1940, nonostante la situazione sia assolutamente tragica.

DUNKIRK: tra passato e futuro

Si è spesso discusso in questi ultimi sette anni, o sarebbe meglio dire che alcuni chiedevano a gran voce che Nolan tornasse ad un tipo di cinema più “misurato” (anche nel budget) e più autoriale.
Personalmente non sono mai stata tra quella schiera, semplicemente perché sono sempre stata convinta che Nolan abbia sempre fatto in realtà un cinema molto “personale”, coerente con una sua visione artistica e del mondo; cimentandosi, questo sì, in vari “generi” ma mantenendo sempre un suo stile riconoscibile, riservandoci però, allo stesso tempo, sempre, delle sorprese, perché per Nolan nulla è mai come sembra e nulla è semplice.

Dunkirk non rappresenta un ritorno al passato, anche se ha dei “tratti” in comune con l’amato Memento, ma piuttosto un balzo verso il futuro. Nolan è sempre stato proiettato verso il futuro, anche se può sembrare quasi paradossale per un regista che difende a spada tratta la pellicola.
Ma le cose sono sempre complesse con lui. Questa è un’idea che io condivido pienamente.
Perché se riteniamo che sia giusto conservare e restaurare un’opera d’arte è perché pensiamo che essa sia importante e rappresentativa per la nostra storia e per il nostro futuro, pertanto desideriamo che il sistema di valori che essa rappresenta venga tramandato alle future generazioni affinché possano goderne anche loro come noi. Per questa ragione coloro che si ergono a difesa della conservazione di determinati beni o tecniche, a mio giudizio, sono in realtà le persone più proiettate verso il futuro.

Dunkirk non è come qualcuno auspicava un film classico, bensì, un film meta-classico, oserei dire, quasi sperimentale, sia nel racconto che nella sua veste formale.
È indubbiamente un film coraggioso e difficile, ma con Nolan è normale. È un film che presuppone la conoscenza del Cinema della prima metà del ventesimo secolo, anche se il risultato è un film moderno e autoriale di difficile comprensione e una seconda visione è più che consigliata.
Il racconto è diviso in tre segmenti che si sovrappongono narrativamente, in cui non esiste un vero protagonista poiché è, eminentemente, un film corale. I dialoghi sono scarni ed essenziali poiché il racconto è affidato in via preferenziale alle immagini e ai suoni. La musica è martellante e molto più presente che in qualsiasi altro suo film, anzi, direi che è una vera e propria componente narrativa.
I personaggi sono tanti e delineati in modo essenziale e funzionale al racconto; la recitazione è misurata, mai sopra le righe, e, allo stesso tempo, ricca di pathos. Il nemico si percepisce ma non si vede mai (se non in un unico fotogramma alla fine), quasi fosse un’entità invisibile e non fisica, il che rende il tutto molto più terrificante. La veste formale del film è senza precedenti. Dunkirk è un tonico per gli occhi, la fotografia è ancora più bella di quella già splendida di Interstellar: unisce toni caldi e freddi in un perfetto connubio, aiutata anche dalla realtà paesaggistica della città di Dunkerque, come ho potuto personalmente constatare.
Il montaggio asincrono contribuisce a creare un senso di smarrimento, di panico e di claustrofobia, simile a quello che devono aver provato i soldati nella realtà storica. Nolan ha acquisito una tale conoscenza del mezzo cinematografico e della pellicola Imax da arrivare ad una perfezione formale il cui risultato è di una bellezza estetica tale da lasciare senza fiato.
Dunkirk è fondamentalmente un film estetico, una celebrazione ed un omaggio alla pellicola e al Cinema. Tutto il resto è ridotto all’essenziale: dialoghi, durata, personaggi e, attraverso ogni inquadratura noi vediamo, sì, i soldati intrappolati come topi in una spiaggia, ma soprattutto l’occhio del regista.
Nolan vuole farci vedere e sentire tutto attraverso i suoi occhi: la paura e lo sgomento dei soldati e, attraverso di loro, l’insensatezza della guerra e delle divisioni e l’importanza di collaborare e solidarizzare, proprio come fecero i civili che rischiarono la loro vita per andare a salvare i soldati.

Dunkirk fu un disastro militare, ma è diventato il simbolo di un riscatto morale, civile e ideologico: “The Dunkirk Spirit”. Recuperare quello spirito oggi, nel momento storico che stiamo vivendo, è un messaggio forte e difficile come non mai.

Simona Missud

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