Vanya sulle strade giapponesi
Tra le opere più attese sulla Croisette c’è sicuramente il nuovo lavoro del giovane filmmaker giapponese Ryūsuke Hamaguchi, reduce dal gran premio della giuria dell’ultima Berlinale per Wheel of Fortune and Fantasy, film che ora è stato distribuito anche nelle sale italiane. Hamaguchi si era peraltro segnalato, nel panorama festivaliero, nel 2015 a Locarno con Happy Hour, opera di oltre cinque ore, incentrata sulla condizione femminile in Giappone, che ricevette una menzione per la sceneggiatura e vide tutte le quattro protagoniste premiate per la migliore interpretazione femminile.
Hamaguchi arriva a Cannes 2021 con Drive My Car, opera in cui si confronta con il grande scrittore nipponico Haruki Murakami, ispirandosi a una sua breve novella, pubblicata anche in Italia nella raccolta “Uomini senza donne”. Murakami è un autore relativamente poco tradotto al cinema, almeno rispetto alla sua grande fama. La sua prosa, che rasenta il minimalismo, rende in effetti difficile il trasferimento dei suoi testi in sceneggiature. E in effetti Hamaguchi, le cui opere hanno un respiro corale con narrazioni molto diluite nel tempo (questo film, tratto da un racconto di qualche paginetta, dura tre ore, con un incipit che fa inserire i titoli di testa dopo una buona mezz’ora) usa la novella come un semplice canovaccio, in cui si inserisce con innesti narrativi che danno luogo a molteplici diramazioni. Il film racconta di Yusuke Kafuku, attore e regista teatrale, da poco vedovo, che viene incaricato di una regia dello Zio Vanja di Čekhov da parte di un teatro di Hiroshima che gli assegna anche una macchina con autista, guidata da una donna di nome Misaki.
Una suggestiva scena di Drive My Car vede i protagonisti in macchina, con un’inquadratura aerea che mostra un groviglio autostradale estremamente contorto, simbolo delle linee narrative ingarbugliate del film. Ricorda un po’ quell’insieme tortuoso di svincoli a Osaka, usato da Andrej Tarkovskij per simulare un paesaggio futuristico per Solaris. Quella scena, del film di Hamaguchi, viene disturbata da un rumore forte di un improvviso sparo. È quello della rappresentazione teatrale cui stanno lavorando i protagonisti, teatranti impegnati nelle prove di un allestimento del čechoviano Zio Vanya. E l’autore russo, solo accennato nel racconto, appare come il secondo testo, dopo quello di Murakami, su cui si gioca il film. Il colpo di pistola che Čechov tiene fuori scena, nello Zio Vanja come in Il gabbiano, fa il paio con i fuori campo usati da Hamaguchi, come la morte di Oto, la moglie del protagonista, tenuta in ellissi e solo più tardi raccontata.
La prima scena del precedente film del regista, Wheel of Fortune and Fantasy, vedeva un lungo dialogo di due amiche su un taxi. Questa dimensione claustrofobica è forse quello che ha attratto il regista dal racconto, quasi interamente ambientato in macchina, usata dal protagonista, un attore teatrale, con un’autista, per permettergli di sfruttare i tempi dei viaggi per ripassare le battute. La macchina nel film è un contenitore di narrazioni, di storie e ricordi, ma anche di progetti come quelli che enuncia Oto, moglie del protagonista, nell’incipit, che è un’autrice televisiva. L’autista di sesso femminile dà poi un altro appiglio ad Hamaguchi, sempre attento alla condizione femminile nella società giapponese dove la parità dei sessi non è sempre così scontata: quello di mostrare gli atteggiamenti tra lo sbalordito e il diffidente, delle persone che si trovano di fronte a una donna che svolge un lavoro tradizionalmente maschile.
Le narrazioni interne nell’abitacolo dell’automobile, fanno il paio con quelle teatrali, nello spazio aperto del palcoscenico. Nel film vengono rappresentate due opere, entrambe non appartenenti al repertorio drammaturgico giapponese: Aspettando Godot e, appunto, Zio Vanja. E il metodo di rappresentazione, che si sviluppa nelle prove, è alquanto singolare: gli attori recitano ognuno in una lingua diversa, finanche in quella dei segni coreana. Il teatro dei grandi autori classici è un archetipo, che può adattarsi a ogni contesto nazionale e storico, ci fa capire Hamaguchi, così come il suo cinema è un melting pot di personaggi, le cui traiettorie narrative si diramano o si incrociano, compiono lunghi tragitti (come quello che attraversa il Giappone nel film, da Hiroshima all’estremo nord dell’Hokkaidō), proprio come le strade, perdute, di una rete viaria tra le più sviluppate al mondo.
Giampiero Raganelli