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Dopo la guerra

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VOTO: 5

Padre e figlia

Le colpe – ideologiche – dei padri non dovrebbero ricadere sui figli (e sugli altri famigliari). È questo l’assunto precipuo che Annarita Zambrano ha scelto di approfondire per esordire nel lungometraggio di finzione. E ha deciso di affrontarlo attraverso un tema alquanto delicato, essendo la lotta armata degli anni di piombo ancora un argomento sanguinante e non del tutto chiarificato, i cui contorni seguono a rimanere ambigui. Il cinema italiano ha diverse volte affrontato tale argomento, con alterni risultati, e a volte contrapponendo proprio genitori e figli. Alla mente tornano due “Instant-Movie”: Caro Papà di Dino Risi (1979) e Colpire al cuore di Gianni Amelio (1982). Due opere molto cupe che si concentravano sulla scoperta, da parte del genitore o del figlio, che il proprio familiare ha legami con gruppi armati. Il film della Zambrano segue un poco questa idea di inaspettata e tragica rivelazione, in cui l’innocente figlia Viola scopre l’oscuro passato del padre, e si ritrova inghiottita in questa lontana e anacronistica realtà contro la sua volontà.

Dopo la guerra è una pellicola del 2017, ma racconta il passato, anzi rappresenta due passati: nel concreto l’inizio del Duemila, e con la memoria gli anni Settanta. La storia inizia propria nel 2002, Anno Domini segnato dall’omicidio del Professore Marco Biagi (19 marzo 2002), per mano delle Brigate Rosse, e l’abrogazione della “Dottrina Mitterand”, che consentiva il diritto d’asilo politico, in Francia, ai terroristi. L’abolizione di tale legge autorizzava, così, di poter estradare in Italia tutti i rifugiati, che si erano macchiati di delitti ed erano fuggiti. La Zambrano, partendo da questi fatti fondati, crea una storia fittizia in cui cerca di analizzare le difficili situazioni in cui si può trovare una famiglia “compromessa” con il terrorismo. Nel farlo scompone la storia, sceneggiata insieme a Delphine Agut, in due vicende che scorrono in parallelo: la storia della famiglia Lamberti, che si ritrova – nuovamente – disonorata; e la storia di Marco Lamberti, ex terrorista scappato in Francia, e di sua figlia adolescente. E su questo secondo troncone, la narrazione si sofferma maggiormente, per poi diramarsi nella descrizione di due individui opposti, che vivono questa vicenda in modo differente. Da un lato c’è la testardaggine egoistica del padre, legato con orgoglio a un passato di lotte, ma “codardo” nell’accettarne le conseguenze; dall’altro lato l’improvvisa privazione di una vita normale che subisce l’adolescente Viola. Gli occhi vergini della ragazza ci mostrano i molti errori commessi dal genitore, esempio di terrorista che ha perseguito una folle lotta per le libertà individuali, ma che con il suo atteggiamento accentratore e vile, costringe le persone che gli sono intorno a subire la privazione di una vita tranquilla e libera. Quindi Dopo la guerra non è prettamente un film politico, seppure c’è una leggera riflessione sul terrorismo degli anni Settanta, ma è un’opera che si concentra maggiormente sull’intimo degli individui trascinati in tali episodi. Per poi ristringersi sulla conflittuale relazione padre-figlia, trasformandosi in una storia di scontro generazionale.
Co-prodotto dalla Francia, Dopo la guerra purtroppo si rivela un opera non compatta, in cui il tema delicato del terrorismo, si trasforma in un semplice conflitto generazionale. Manca un maggior coraggio nell’affrontare i postumi di quei grigi anni, una presa di posizione più ferma, perché alla fine la figura di Marco Lamberti sembra solamente una figurina. E i maggiori difetti risiedono, soprattutto, nella parte dedicata alla famiglia Lamberti, girata con ritmi e recitazione para-televisivi. Quindi, dovendo scegliere, meglio la parte francese, in cui Giuseppe Battiston, che recita in francese, conferma valide qualità attoriali, e ha anche il giusto aspetto per interpretare un ex-brigatista.

Roberto Baldassarre

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