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Cane mangia cane

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VOTO: 8

Cani che mangiano altri cani  

Tre amici. Tre gangster tanto spietati quanto imbranati. Tre vissuti difficili. Una Los Angeles triste e desolata che poche possibilità offre a chi deve ricominciare tutto daccapo. La costante ricerca di soldi. La paura di dover tornare in galera. E, infine, il forte, fortissimo desiderio di libertà. Come possiamo vedere, la storia raccontata in Cane mangia cane, ultima fatica di Paul Schrader – vera e propria colonna portante della New Hollywood – presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs alla edizione appena trascorsa del Festival di Cannes, non è del tutto nuova per i cinefili accaniti, e non solo. Eppure, di questo ultimo lavoro del celebre cineasta statunitense, tutto si può dire, tranne che sia qualcosa di già visto e di “superfluo”. Ma procediamo per gradi.
Troy, Diesel e Mad Dog sono tre ex detenuti. Varie circostanze hanno fatto in modo che i tre diventassero amici per la pelle, una vera e propria famiglia. Una volta usciti di galera, devono trovare il modo di poter ricominciare daccapo, pur non avendo un soldo in tasca. Dopo vari, maldestri tentativi di mettere qualcosa da parte, i tre progetteranno un’estorsione. La realizzazione del loro piano, però, sarà molto più problematica del previsto.
Salvo per quanto riguarda poche eccezioni, Paul Schrader è quasi sempre una garanzia. Ed anche in questo suo ultimo lavoro – tratto dall’omonimo racconto di Edward Bunker – l’autore si è rivelato all’altezza delle aspettative. Ben scritto, ben interpretato (persino Nicholas Cage è stato perfettamente all’altezza del suo ruolo, incredibile!), dai ritmi giusti e con una sceneggiatura sì semplice, ma efficace per quanto riguarda ciò che si vuole comunicare, Cane mangia cane vede i suoi massimi punti di forza in una regia impeccabile ed in un montaggio dinamico che fa largo uso – in modo appropriato e mai gratuito o autocompiaciuto – di ralenty, di fast motion e, di quando in quando, di un suggestivo e malinconico bianco e nero. Il risultato finale è una serie di scene memorabili, destinate, addirittura, a diventare quasi dei cult. Tutto ciò a partire dai primi minuti, in cui vediamo uno spaesato Willem Dafoe, che, appena uscito dal carcere, deve vedersela con una ex compagna rompiscatole ed “ingombrante” e con la figlia adolescente di lei, il cui unico problema sembra non essere altro che la mancata possibilità di cucinare dei cupcakes insieme ad un’amica. Ora, in una situazione del genere, a chiunque capiterebbe di perdere la pazienza. Cosa che capita, ovviamente, anche al nostro protagonista, il quale – in una sequenza pulp che più pulp non si può – si libera in modo decisamente poco convenzionale dei suoi “ostacoli”. E che dire della scena riguardante l’inseguimento con la polizia? Anche qui, con un montaggio libero da ogni convenzione, Schrader riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo minuto per minuto. Senza mai abbandonare, però, quella crudele ironia che ha sempre caratterizzato molte delle sue opere.
Ovviamente, però, tutti gli sbagli commessi dai nostri protagonisti hanno un proprio prezzo. Ed il prezzo stesso può essere caro come non mai. Così, il tema della colpa e della redenzione torna anche in questo ultimo lungometraggio, senza mai essere banale o ridondante. Emblematica, a questo proposito, la frase finale pronunciata in voice over dallo stesso Troy/Nicholas Cage: “Non si può dire che io volessi a tutti i costi giustizia. Volevo ciò che volevo. Come tutti, del resto”. Ognuno di noi, a seconda delle situazioni, è vittima o carnefice. Non vi sono buoni, non vi sono cattivi, ma siamo tutti pronti ad azzannarci a vicenda, nel momento in cui vogliamo ottenere qualcosa. Cani che mangiano altri cani.
Ciò che viene raccontato è importante, ma come lo si racconta è – la maggior parte delle volte – determinante. E questo è anche il caso di Cane mangia cane, la cui semplice trama viene dignitosamente messa in scena da una mano matura e sapiente. Una visione che – finalmente! – fa sì che al suo termine ci si senta pienamente soddisfatti ed appagati.

Marina Pavido

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