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Divisione Folgore

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VOTO: 7,5

Mancò la fortuna non il valore

Quanto manca fino all’Italia?
Quanto manca di questo inferno di sabbia?
Quanto manca di strada per l’Italia?
Tormentato amore con gli occhi dritti al sole!

Che ne sai, che ne sai della canaglia di questo deserto?
Che ne sai, che ne sai del senso di una medaglia di ferro?
Che ne sai, che ne sai della nostra orchestra di nervi tesi?
Che ne sai, che ne sai di noi scagliati contro i carri inglesi?
La notte abbraccia chi conquista,
Le stelle sono donne nella nottata futurista
Skoll, ”Sahara”

 

I versi di Sahara, l’intensa ed emozionante canzone composta da Federico Goglio a.k.a Skoll, sono già pressanti interrogativi che ci vengono sbattuti in faccia da un passato tanto drammatico quanto degno di essere ricordato: il sacrificio dei paracadutisti della “Folgore”, al pari di quello dei carristi della divisione corazzata “Ariete” e di altri reparti italiani annientati o quasi nel corso della battaglia di El Alamein, per l’evidente superiorità delle forze alleate a livello di blindati, carri armati e copertura aerea, ancora oggi ci parla di una generazione che (ben al di là di qualsiasi considerazione di carattere politico, sulle ragioni e sull’andamento di quel conflitto) anche di fronte a una lotta impari seppe dare un’innegabile dimostrazione di stoicismo, coraggio, abnegazione e altruismo.
In tempi non così remoti ci aveva pensato un bel lungometraggio di finzione diretto da Enzo Monteleone a ricordarci, con un tocco umanissimo, il senso profondo di quell’esperienza: El Alamein – La linea del fuoco (2002), uscito in occasione del sessantesimo anniversario della Battaglia di El Alamein e girato dal cineasta italiano assieme al documentario I ragazzi di El Alamein (2001). Già altre pellicole però avevano affrontato la ricostruzione di tali eventi, sin dal periodo post-bellico. E la migliore del lotto resta molto probabilmente Divisione Folgore, girata da un sublime artigiano come Duilio Coletti (sue le regie di Capitan Fracassa, Il lupo della Sila, I sette dell’Orsa maggiore, Lo sbarco di Anzio e Valdez il mezzosangue) nel lontano 1954.

Fa pertanto piacere che alla Casa del Cinema, nel corso di una diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma particolarmente attenta ai generi e alla tradizione cinematografica italiana (vedi ad esempio i documentari Il ritorno di Maciste di Maurizio Sciarra e Lui era Trinità di Dario Marani) abbia trovato spazio anche una proiezione della versione restaurata di Divisione Folgore. Alla presenza peraltro del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, figura contestata da una parte del mondo dello spettacolo per alcune sue proposte, riguardanti l’attuale produzione cinematografica, ma evidentemente non priva di attenzioni per il recupero e la valorizzazione di certe opere rappresentative del nostro passato.
Mancò la Fortuna, non il Valore”, così è scritto sul cippo del 7° Bersaglieri infisso al Km 111 da Alessandria d’Egitto. Assistito da una funzionale, ben congegnata struttura narrativa ad anello, Divisione Folgore parte proprio dall’esito sanguinoso di quella battaglia per gli italiani che la combatterono, tornando poi indietro nel tempo fino al loro arruolamento ed addestramento come paracadutisti, accompagnandoli infine al fatale scontro coi letali carri britannici nell’infuocato deserto nordafricano. Un vivace bozzettismo caratterizza l’iniziale vita in caserma, laddove enfatizzando in modo finanche romanzesco la diversa provenienza degli uomini si è cercato di dare spazio alle diverse anime del paese: dagli alpini del Nord Italia finiti non si sa come nella Folgore all’uomo di chiesa richiamato alle armi. Nel cast si fa notare (e anche apprezzare) la presenza di un giovanissimo Mario Girotti, che sarebbe diventato poi famoso come Terence Hill, nel ruolo di una recluta dallo spirito assai sensibile, incapace di separarsi (altro tratto alquanto fantasioso, volendo) da quel cagnetto che lo seguirà persino nei lanci col paracadute.
Ad accentuare la vivacità della narrazione contribuiscono senz’altro le belle musiche di Nino Rota (asse portante della colonna sonora assieme al celebre inno dei paracadutisti Come folgore dal cielo), mentre prima vera cesura del film è quel clima di tensione che accompagna la truppa, durante un volo che si pensa debba portarli a paracadutarsi dietro le linee nemiche, ma che li farà atterrare invece per un infausto “cambio di programma” nel cuore del deserto africano; dove cioè gli sarà ordinato di combattere (impropriamente) come normali forze di terra, errore tattico speculare per certi versi a quello compiuto coi nostri Alpini sul fronte russo. Tale soluzione drammaturgica, per quanto introdotta nel racconto fornendo spiegazioni un po’ approssimative, ricalca in effetti uno snodo storiografico reale: l’annullamento improvviso da parte dello stato maggiore dell’Asse (con conseguenze catastrofiche sull’andamento del conflitto, a detta di qualsiasi studioso di Storia militare) di quell’Operazione C3, che tramite l’invio di forze da sbarco e truppe aviotrasportate avrebbe portato all’occupazione di Malta, vero e proprio fulcro strategico della presenza Alleata nel Mediterraneo.

La pellicola scorre via con buon ritmo mettendo in fila svariate sequenze di battaglia o di vita militare ma anche pause nei combattimenti, che rivelano come la maestria di Duilio Coletti si percepisca sia nel dirigere un classico film di guerra, sia nell’impostare qualche riuscita scenetta di alleggerimento. Apice del racconto è comunque la memorabile sequenza (dalla ragguardevole durata di circa un quarto d’ora) della battaglia in campo aperto contro i carri inglesi, quando un manipolo di Parà della Folgore riuscì da solo con mine posizionate a mano o altri rudimentali esplosivi a fermare e distruggere un gran numero di mezzi corazzati. Così avvenne nella realtà storica, forse è bene precisarlo. Mentre nella Storia del Cinema qualcosa del genere si può vedere magari in Stalingrad (1993) del tedesco Joseph Vilsmaier, anche questo un buon film di guerra. Solo che in tale kolossal sulla Battaglia di Stalingrado azioni così temerarie e dall’esito spesso suicida vengono attribuite a un cosiddetto “battaglione di punizione”, ossia a soldati del Terzo Reich costretti ad accettare una missione tanto pericolosa per i precedenti atti di insubordinazione o per aver compiuto altre infrazioni del codice militare. I soldati italiani che hanno perso la vita in questo modo ad El Alamein si erano invece offerti volontari. Pure questa una differenza non da poco.

Stefano Coccia

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