Mi ritorni in mente
Correva l’anno 1968 quando Mario Bava con il suo Diabolik portava per la prima e unica volta sul grande schermo le gesta del celebre personaggio dell’omonimo fumetto creato nel 1962 da Angela e Luciana Giussani per la casa editrice milanese Astorina. Considerato da molti addetti ai lavori uno dei migliori film pop degli anni Sessanta, ad oggi rappresenta la sola trasposizione cinematografica esistente e per questo è rimasta impressa nella mente dei cultori e appassionati della materia. Ma questa esclusiva è destinata a non essere più tale vista l’uscita nelle sale nella prossima stagione della pellicola firmata dai Manetti Bros, della quale ovviamente non sono ancora emersi dettagli e nemmeno indiscrezioni.
A ingannare l’attesa ci pensa però Giancarlo Soldi con il suo docu-film dal titolo Diabolik sono io, distribuito da Nexo Digital come evento speciale nella tre giorni che va dall’11 al 13 marzo, nel quale racconta la storia dello straordinario e amatissimo personaggio divenuto nei decenni un’icona assoluta del mondo della letteratura disegnata di quello che tuttora è uno dei fumetti più venduti in Italia. E chi meglio del cineasta cremasco, proprietario di una delle più grandi collezioni italiane del suddetto settore, poteva occuparsene. Lui che prima di misurarsi con Diabolik e il suo sterminato “universo” ha realizzato altri documentari sul mondo dei comics e su una serie di indimenticabili figure che ne hanno scritto pagine importanti (Come Tex nessuno mai e Nessuno siamo perfetti, rispettivamente su Sergio Bonelli e Tiziano Sclavi).
Per farlo, Soldi costruisce un progetto ibrido che mescola il classico documentario di “teste parlanti” con scene di fiction, preziosi quanto inediti materiali d’archivio e soprattutto inserti grafici che animano alcune strisce che mostrano le avventure criminali del veloce, letale, chirurgico ladro e assassino dagli occhi di ghiaccio, con spalle e antagonisti al seguito. Ne viene fuori un’indagine avvincente che non si limita però a descrivere la genesi, gli ostacoli e la successiva conquista dell’immaginario da parte del progetto editoriale, ma affonda le sue radici sino alle origini del mito cercando una possibile spiegazione del mistero legato ad Angelo Zarcone, il disegnatore del Numero Uno di Diabolik, inspiegabilmente scomparso senza lasciare tracce dopo aver completato le tavole di quel primo albo.
In Diabolik sono io l’autore ci immerge nell’immaginario e ne cavalca l’onda anomala per dare forma e sostanza ad un piccolo compendio che data la vastità e le infinite sfumature e caratterizzazioni del personaggio non poteva che riassumerne solo in parte gli ingredienti base. Chi sperava in qualcosa di diverso e di più rispetto a un’infarinata generale, comunque ben orchestrata e confezionata (la colonna sonora di Teho Teardo come valore aggiunto), ne uscirà deluso, al contrario di chi si lascerà andare al viaggio tra reale e immaginifico, mistery e fumetto, pensato da Soldi per rendere un sentito e doveroso omaggio a ciò che è stato e che continua ad essere. La bravura del regista è nell’aver trovato in fase di scrittura un cavillo narrativo interessante come l’indagine sulla misteriosa scomparsa del disegnatore della prima pubblicazione e su di esso aver costruito l’architettura della timeline. Il lavorare attentamente sui tre livelli a disposizione (il processo creativo delle Giussani, il racconto di Diabolik e la messa in scena delle disavventure di Zarcone) ha permesso al risultato di non trasformarsi nell’ennesimo celebrativo patchwork di immagini e parole, bensì di trovare una sua chiave personale. Determinante per raggiungere lo scopo è stata la scorrevole ed efficace iterazione tra le parentesi di fiction con Luciano Scarpa nelle vesti dello smemorato Zarcone e la componente documentaristica con la testimonianza dello storico editore Mario Gomboli a fare da Virgilio e linea guida del racconto orale (dove hanno potuto dire la loro tra i tanti i già citati Manetti, ma anche Carlo Lucarelli o Milo Manara).
Francesco Del Grosso