Il passato ritorna
La religione. La famiglia. Una figlia adolescente e ribelle. E, non per ultimo, un passato oscuro che di punto in bianco torna a bussare alla porta. Non è facile decidere cosa sia meglio per il proprio futuro quando la libertà di scelta è fortemente limitata. Ne sa qualcosa Ruth (impersonata da Judith Hofmann), protagonista del lungometraggio Der Unschuldige, seconda regia del giovane Simon Jaquemet, presentato in anteprima al Festival del Cinema Svizzero Contemporaneo, online sul sito della Cineteca di Milano per questa sua edizione 2020 a causa dell’epidemia da Covid-19.
Ruth, dunque, lavora come ricercatrice e ha una propria famiglia in cui sembrerebbe filare tutto liscio. La religione ha sempre rappresentato una componente fondamentale nella vita della donna, la quale è solita frequentare spesso una comunità religiosa locale. Un giorno ella viene a conoscenza del fatto che il suo ex fidanzato (da lei sempre ritenuto innocente) è stato scarcerato dopo venticinque anni. In qualche modo, l’uomo riesce a mettersi in contatto con lei e i due sembrano riavvicinarsi. Le cose, tuttavia, prenderanno ben presto pieghe inaspettate.
Si respira costantemente un’atmosfera di tensione, nel presente Der Unschuldige. E se, soprattutto per quanto riguarda la prima metà del film, il tutto fatica un po’ a decollare, ecco che, man mano che ci avviciniamo al finale, si ha finalmente un crescendo dove a essere tirati in ballo sono numerosi elementi. Troppi? Non proprio. Perché, di fatto, le tematiche trattate da Simon Jaquemet hanno di per sé molto potenziale, ma, proprio per la loro complessità, possono sembrare piuttosto difficili da gestire al fine di dar vita a un prodotto equilibrato e sufficientemente complesso.
La regia c’è, così come – in primis – la scelta delle location e delle scenografie. Impossibile non notare, negli ambienti in cui vive e lavora Ruth, la prevalenza del colore bianco, per una serie di luoghi sterili, sì sufficientemente ampi, ma che stanno a trasmettere soprattutto un forte senso di claustrofobia e di inadeguatezza. E così, la sua stessa casa, il laboratorio in cui lavora e, non per ultima, la chiesa da lei frequentata ci sembrano immediatamente come dei luoghi ostili, con tanto di luce talvolta volutamente sovraesposta e forme oltremodo spigolose. E sono proprio queste location – a cui si aggiunge l’ubicazione stessa della casa della protagonista, nel bel mezzo della natura e lontana da ogni forma di vita – a essere trattate alla stregua di veri e propri personaggi.
Particolarmente degno di nota, all’interno del presente Der Unschuldige, è la religione, la quale, unita al senso di colpa e al concetto dell’espiazione dei propri peccati, assume via via connotazioni sempre più oscure e sinistre. Anche se, proprio date le numerose potenzialità del tema in questione – e dato lo sguardo particolarmente maturo, registicamente parlando, del regista stesso – ci si sarebbe aspettati molto di più. Soprattutto per quanto riguarda i ritmi stessi, pur continuando a giocare – come d’altronde, già è stato fatto – sulle atmosfere. Ma di sicuro un giovane talento come quello di Simon Jaquemet avrà presto occasione di sperimentarsi di nuovo e di crescere ulteriormente.
Marina Pavido