Nessuna paura
L’estate si sa è portatrice di tante cose, ma è anche la fine o l’inizio di qualcosa. Per Walter, il tredicenne protagonista di Denti da squalo, opera prima di Davide Gentile in uscita nelle sale a partire dall’8 giugno con Lucky Red, rappresenta quel lasso di tempo in cui va consumandosi l’avventura più incredibile della sua vita. È terminata la scuola e ha da poco perso il padre in un incidente sul luogo di lavoro, ma nel suo vagare apparentemente senza meta per il litorale romano, un luogo affascinante e misterioso cattura la sua attenzione: una villa abbandonata con una gigantesca, torbida, piscina. Ma la villa non è incustodita e inizierà per lui un viaggio indimenticabile.
Sono queste le coordinate umane e topografiche su e intorno alle quali ruota e si sviluppa il baricentro narrativo e drammaturgico della pellicola del cineasta milanese, che dopo una fortunata carriera nella pubblicità e e una serie pluridecorati precedenti sulla breve distanza come Food for Thought e Omar, ha voluto confrontarsi con il grande schermo. Aiutato nella difficile transizione tra gli altri da un Gabriele Mainetti nelle vesti di produttore con la sua Goon Film, Gentile ha scelto di puntare su una fiaba drammatica, cruda, a tratti violenta, ma anche avventurosa, spericolata, sognante e divertente, come solo sa essere il passaggio da un’infanzia interrotta da un trauma familiare a un’adolescenza che si affaccia prepotente. Materiale vivo e incandescente, questo, che farà da fondamenta all’architettura di coming of age dalle venature crime e thriller, che si trascina dietro i temi chiave del romanzo di formazione come la crescita e il confronto generazionale (madre-figlio), ai quali si vanno ad aggiungere argomentazioni dal peso specifico rilevante come l’elaborazione del lutto. Il tutto attraverso un sistema di vasi comunicanti all’interno dei quali scorrono senza soluzione di continuità allegorie, allusioni, citazioni cinematografiche, riferimenti letterari e simboli, a cominciare dall’animale predatore che nuota nella piscina della villa che diventa il simbolo di una paura che il giovane protagonista si troverà a vivere, a combattere e a provare a superare. Ciò stratifica e aumenta lo spessore del racconto messo a disposizione dalla sceneggiatura firmata da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, vincitori con la stessa del Premio Solinas, sottraendo per loro e nostra fortuna il film dalle sabbie mobili del filone sempre più inflazionato del romanzo di (de)formazione.
Denti da squalo ha dalla sua una combinazione efficace e funzionale dei suddetti elementi, oltre che di registri e sfumature che gli consentono di creare un giusto equilibrio e di mescolare, senza che l’uno fagociti l’altro, fiaba e realismo. Dove, al contrario, l’opera mostra delle crepe è nel suo girare a vuoto nei sessanta minuti iniziali dei cento e passa a disposizione. Il suo processo di accumulo di emozioni, tensioni, conflitti e promesse latenti, che va in scena nella prima ora di timeline, appesantisce la fruizione e la rende meno fluida e coinvolgente a causa di parentesi e digressioni futili. Poi passato il giro di boa, si assiste a una repentina salita che riporta a galla storia e personaggi, divisi tra stereotipati e non, che fino a quel momento salivano e scendevano in maniera febbrile di intensità e potenza comunicativa. È questo squilibrio drammaturgico la zavorra dalla quale il progetto riesce fortunatamente a liberarsi prima che sia troppo tardi.
Resta dunque un film dal quale era lecito sperare e aspettarsi di più per via del valore delle figure artistiche e creative coinvolte, ma che mette comunque in mostra soluzioni tecniche degne di nota derivanti dal lavoro dietro la macchina da presa di un esordiente di ottime prospettive, dei VFX di buona fattura e delle scelte di cast azzeccate come quelle del promettente Tiziano Menichelli e di un’inedita Virginia Raffaele, rispettivamente nei panni di Walter e di sua madre Rita.
Francesco Del Grosso