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La verità negata

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VOTO: 7

Ricordiamoci di non dimenticare     

A distanza di più di settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sono ancora tante le storie da raccontare in merito, volendo restare esclusivamente in ambito cinematografico. Molte di queste storie, di fatto, sono tutt’oggi sconosciute ai più. È questo, ad esempio, anche il caso del lungo processo che ha visto coinvolti – tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila – la professoressa Deborah Lipstadt ed il negazionista David Irving. Tali avvenimenti vengono per la prima volta messi in scena da Mick Jackson nel suo ultimo lungometraggio, Denial (La verità negata), presentato in anteprima – all’interno della Selezione Ufficiale – all’11° Festa del Cinema di Roma.
In seguito alla pubblicazione del libro “Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory” – in cui più volte vengono attaccate le teorie negazioniste dell’autore britannico David Irving – la professoressa americana Deborah Lipstadt viene citata in causa da quest’ultimo con l’accusa di diffamazione. In Inghilterra, però, le cose non funzionano come negli Stati Uniti. In casi del genere, infatti, è compito del presunto colpevole dimostrare la propria innocenza. Sarà, dunque, arduo compito di Deborah – insieme ad una squadra di prestigiosi avvocati guidati da Richard Rampton – dimostrare la veridicità dell’Olocausto stesso.
Quello che inizialmente si presentava come un lungometraggio visto e rivisto, che nulla di nuovo avrebbe avuto da offrire al pubblico e sul quale si è puntato eccessivamente, si è dimostrato, in realtà, un prodotto di tutto rispetto, che al suo interno ha sì delle problematiche, ma che, comunque, vanta una sceneggiatura di ferro, magistralmente interpretata da un ottimo cast, all’interno del quale spicca su tutti il grande Timothy Spall, nel ruolo di David Irving, oltre, ovviamente, a Rachel Weisz nel ruolo della protagonista.
Tale sceneggiatura – affiancata da una regia e da un montaggio dinamici, che, per tutta la durata del film, riescono a mantenere ritmi costanti e pertinenti alla narrazione, senza mai cadere di tono – contribuisce a rendere il lungometraggio quasi del tutto privo di sbavature. Quasi, perché – come può facilmente capitare nel momento in cui si tratta un argomento del genere – sono presenti determinate scene in cui – complice anche una musica decisamente troppo melodrammatica ed invadente, carrellate troppo enfatizzanti e primi piani che sembrano voler indugiare un po’ troppo a lungo su ciò che viene mostrato – si ha tutta l’impressione che Jackson abbia voluto a tutti i costi arruffianarsi il pubblico, facendo leva in modo piuttosto facile e scontato sui sentimenti. C’è anche da considerare, però, che tali scelte possono rappresentare uno degli errori più comuni che si possano fare – sempre che di errori si voglia parlare – nel momento in cui vengono trattati determinati argomenti. In pratica è come trovarsi su di una mina (giusto per citare uno dei titoli recentemente apparsi in palinsesto), rischiando, anche con un minimo movimento, di provocare l’irreparabile. Peccato veniale, dunque, questo di Jackson.
Fatto sta che Denial, in fin dei conti, si è rivelato un prodotto interessante per il tema trattato – come già è stato detto – e, nel complesso, ben confezionato. Un lavoro che nel suo genere decisamente funziona, senza mai voler essere didascalico e che, quasi sicuramente, verrà apprezzato da molti.

Marina Pavido

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