Viaggio allucinante
Un classico film di fantascienza molto amato dagli appassionati è Viaggio allucinante, del 1966 diretto da Richard Fleischer, una perlustrazione nel corpo umano fatto da un’astronave miniaturizzata. Film che generò una parodia di Woody Allen, l’episodio Cosa succede durante l’eiaculazione? di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, nonché una sorta di remake, Salto nel buio, di Joe Dante. Potremmo considerare De humani corporis fabrica, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2022, di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor, come una sorta di paradossale nuovo remake di quel film. La coppia di registi ha capito e raffigurato la bellezza dell’anatomia umana, la complessità e spettacolarità ‘paesaggistica’ dei suoi interni, delle viscere, degli interstizi, degli organi e delle cellule, mentre i preparati istologici dei tessuti al microscopio possono benissimo sembrare delle pitture astratte. Tutto ciò basandosi sul fatto che i progressi tecnologici in campo medico permettono di scandagliare, scrutare, scansionare ormai, con microsonde, minitelecamere, fasci di raggi X, ogni minimo dettaglio interno di un corpo. Un ospedale possiede una strumentazione di riprese video mille volte più sofisticata e tecnologicamente avanzata di quella a disposizione per il cinema. E i registi già nel titolo, che richiama a uno storico trattato di anatomia di Andrea Vesalio pubblicato nel 1542, ci ricordano come questo risponda a un’esigenza storica della medicina, quella dei teatri anatomici del XVI secolo, aule spesso riccamente affrescate o decorate, dove si eseguivano dissezioni di cadaveri.
La coppia di filmmaker si era fatta conoscere con Leviathan, film del 2012, ambientato in un grande peschereccio ultratecnologico, dove il pescato veniva direttamente lavorato sulla nave con strumentazioni industriale, per trasformare animali marini in bastoncini Findus. Il confine, sempre mutevole, tra materia vivente e sostanza organica inerte, anche presente in Caniba sul tema del cannibalismo, ritorna in De humani corporis fabrica, tutto girato in un ospedale francese, ancora una fabbrica dove stavolta si cerca di aggiustare la materia vivente, cercare di rattoppare, ricomporre i corpi per restituirne il funzionamento, laddove possibile. Laddove impossibile ci si deve rassegnare al passaggio a materia non vivente. Già l’inizio ci porta a una presa d’atto in tal senso, nella diagnosi di un medico che constata come un paziente, per la progressiva compromissione irreversibile di organi vitali, abbia ancora un’esistenza di pochi giorni. Alcuni momenti evidenziano una sorta di lavoro da meccanico, di inserire bulloni, avvitare viti, aggiustando il corpo con pezzi metallici. Lo si vede già in una delle prime scene, un intervento al cervello, dove il chirurgo, chiacchierando con il paziente cosciente, parla del suo lavoro come il gioco del Meccano, mentre più avanti si citerà il Lego. Un ragionamento invece sulla dignità eventuale della vita animale, come appunto in Leviathan, si fa nel momento in cui un chirurgo parla di un intervento già sperimentato sui maiali.
Evidente l’ambizione di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor di misurarsi con due opere fondamentali, Near Death di Frederick Wiseman e The Act of Seeing with One’s Own Eyes di Stan Brakhage, con un film che da un lato osserva il funzionamento di un ospedale e che restituisce una visione molto difficile, punitiva, difficilmente sostenibile. L’approccio è per molti versi wisemaniano, nel momento in cui si mette in scena una struttura, essa stessa come un organismo vivente i cui organi sono rappresentati dai diversi reparti, e i lunghi corridoi a costituire il sistema vascolare. Anche se il grande e storico autore di cinema del reale si soffermerebbe più sulle dinamiche del funzionamento umano, cosa comunque non assente in De humani corporis fabrica. Tra espianti di tumori, proliferazioni cellulari fuori controllo, e parti cesarei, aiuti alla nascita di nuove vite, i medici e gli infermieri chiacchierano di situazioni sociali, la disoccupazione, il costo della vita e delle case, o scherzano con leggerezza. Nella camera mortuaria ci sono infermiere dai capelli tinti in modo sgargiante che compongono i cadaveri.
Il finale del film vede una scena di baldoria, in un locale tappezzato di immagini pornografiche grottesche e blasfeme, con una parodia dell’Ultima Cena di Leonardo, altro grande anatomista. Estensione di quella dimensione estetica, pittorica rappresentata dai paesaggi anatomici. De humani corporis fabrica rappresenta una visione difficile, poco sostenibile, uno sguardo voyeuristico ma senza mai assumere un atteggiamento gratuito pornografico.
Giampiero Raganelli