Accettare se stessi
Nei giorni scorsi ha fatto un gran scalpore, tra i media nazionali ed internazionali, la dichiarazione dell’attrice Ellen Page (indimenticabile adolescente in stato interessante durante Juno di Jason Reitman) di rendere nota la propria condizione di transgender. Dichiaratamente omosessuale già da tempo, Page ha affermato che, da ora in avanti, il suo unico nome sarà Elliot e così vorrà essere chiamata. Un altro passo verso la “liberazione” di se stessa. Ma anche, osservando la vicenda da una prospettiva sociale, un ulteriore sottolineatura di come, nel 2020, una questione strettamente personale sia accolta con stupore e meraviglia, magari solleticando intimamente reazioni non esattamente positive. Il mondo sarà certamente un posto migliore quando, a prescindere dalla fama del nome in questione, decisioni sofferte come queste saranno accompagnate da comprensione e, al limite, indifferenza poiché ritenute di assoluta normalità.
Breve preambolo agganciato alla cronaca recente per introdurre una chiave di lettura del bel cortometraggio Cynthia, vincitore ex aequo con Ciúnas (Silence) del Premio del Pubblico all’Irish Film Festa 2020. L’attore Jack Hickey, per l’occasione all’esordio dietro la macchina da presa, ha compiuto un piccolo miracolo, condensando in poco più di quindici minuti di durata moltissimi spunti di riflessione sulla capacità di accettare il proprio orientamento sessuale e la conseguente disponibilità a relazionarsi con gli altri.
Nell’incipit osserviamo la ragazza del titolo (una Clare Dunne di schiacciante intensità e bravura) bussare alla porta dell’amica Clementine. Si tratta di una serata in memoria dei vecchi tempi, in cui tra l’altro si festeggia l’avanzata gravidanza della padrona di casa. Altri presenti il marito di lei, David, e il fratello di Clementine, Elliot, accompagnato dalla sua attuale compagna Mel. Si intuisce immediatamente come Cynthia stia faticosamente uscendo da una situazione psicologica di assoluta prostrazione. Ed i discorsi della serata prendono dopo poco una piega tutt’altro che inaspettata, per demerito della scarsa sensibilità di Elliot.
Il tutto porta direttamente al cuore pulsante del cortometraggio. Il quale pone sul tavolo della discussione, diegetica e non, almeno un paio di fondamentali questioni. La prima inerente agli ostacoli – intimi, famigliari e sociali – che una donna, ancor più che un uomo, si trova a dover affrontare una volta appurata la propria omosessualità. La seconda riguarda invece l’appena menzionato rapporto con gli altri, i quali magari hanno un orientamento sessuale differente. Cynthia, inteso come personaggio, nel corso del corto esplicita le sue frustrazioni, confessa i motivi per cui è caduta in uno stato depressivo dal quale è stato difficilissimo anche solamente provare ad uscire. Jack Hickey – anche sceneggiatore – ha l’abilità di raccontare al contempo un dramma intimo facendogli però assumere uno status emotivo universale, perché l’amore represso verso un’altra persona non riconosce i confini tra etero e omosessualità. Ma dichiarando il proprio sentimento impossibile nei confronti di Clementine, Cynthia compie un passo decisivo verso l’accettazione della propria essenza e dei limiti che non potrà superare, prospettandosi, nell’emozionante epilogo, almeno la possibilità di vivere un qualsiasi futuro.
A testimonianza ancora una volta, nel caso del cortometraggio dal titolo Cynthia, come l’importante sia, nell’ambito della breve distanza, avere un’idea forte in grado di veicolare emozioni, trovando un modo adeguato per realizzarla. Anche in Cynthia, al pari di altri corti ammirati nell’Irish Film Festa 2020, i volti restano scolpiti nella memoria e le parole di dialoghi mai superflui risultano impossibili da dimenticare. Forse perché raccontano di vita vissuta sino in fondo, anche con la sofferenza che inevitabilmente ne è parte integrante.
Daniele De Angelis