La promessa infranta
Nemmeno il tempo di metabolizzare il battesimo di fuoco alla 70esima edizione del Festival di Cannes, dove è stato presentato nella sezione Quinzaine Des Réalisateurs, che Cuori puri a sole ventiquattro ore di distanza fa la sua apparizione nelle sale nostrane con Cinema di Valerio De Paolis. Una strategia, quella di ridurre al minimo lo iato temporale tra circuito festivaliero e distribuzione theatrical, che nel caso dell’opera prima di Roberto De Paolis (così come per Fortunata di Sergio Castellitto, uscito lo stesso giorno della presentazione a Cannes) ha il chiaro intento di cavalcare l’onda della prestigiosa première dello scorso 23 maggio sulla Croisette. Staremo a vedere se risulterà vincente. Nel frattempo, potrete ingannare l’attesa che vi separa dalla sua visione gettando un occhio sulla nostra recensione.
L’esordio sulla lunga distanza del regista romano dopo le due fortunate esperienze sulla breve (suoi i cortometraggi Bassa marea e Alice, entrambi presentati alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia) ci catapulta senza se e senza ma al seguito di Agnese e Stefano. Lei, 18 anni, vive con una madre dura e devota, frequenta la chiesa e sta per compiere una promessa di castità fino al matrimonio. Lui, 25 anni, è un ragazzo dal passato difficile che lavora come custode in un parcheggio di un centro commerciale confinante con un grande campo rom. Dal loro incontro nasce un sentimento vero, fatto di momenti rubati e di reciproco aiuto. Il desiderio l’uno dell’altra cresce sempre di più, fino a quando Agnese, incerta se tradire i suoi ideali, si troverà a prendere una decisione estrema e inaspettata.
In sintesi, Cuori puri è la classica storia d’amore che travolge due anime diverse chiuse in mondi diametralmente opposti. Per non perdersi, i due ragazzi dovranno rinunciare a tutto quello che hanno, compiendo scelte coraggiose e difficili. Tra le pieghe del plot, il dramma sentimentale che ha l’inconfondibile retrogusto della tragedia amorosa shakespeariana finisce con il mescolare senza soluzione di continuità il proprio DNA con quello del romanzo di formazione. A giudicare dai profili dei personaggi e da certe dinamiche narrative che li riguardano, a cominciare dallo scontro/incontro che li porta all’innamoramento e al tentativo di fuggire dalle rispettive realtà familiari ed extra-familiari pur di stare insieme, la scrittura poggia le basi dell’architettura drammaturgica su one lines principali e secondarie che non lasciano moltissimo spazio all’immaginazione dello spettatore, al quale non possono non ritornare alla mente le “lotte” contro tutto e tutti affrontate dai protagonisti di Fiore e La ragazza del mondo. In particolare, le analogie con il pluri-premiato esordio di Marco Danieli sono piuttosto evidenti. La sostanziale differenza è che in Cuori puri si indaga nella realtà contemporanea delle comunità cristiane, mentre nel film del connazionale si naviga a vista in quella de Testimoni di Geova. Il tutto calato in un contesto periferico, quello di una Roma di borgata e per nulla cartoliniera, che porta diritti ai recenti paesaggi degradati e dimenticati di pasoliniana memoria che abbiamo “(ri)ammirato” recentemente in Non essere cattivo e Il più grande sogno.
Proprio queste rimembranze, che a loro volta affondano le radici nello sterminato universo letterario e non solo incentrato sugli amori travagliati e intricati delle coppie di turno, tolgono alla storia raccontata da De Paolis quei motivi di interesse che avrebbero dato all’opera una maggiore scorrevolezza, una imprevedibilità di fondo e in primis un preciso baricentro drammaurgico. Quest’ultimo si disperde gradualmente nelle quasi due ore (troppe) di fruizione, nonostante quanto dichiarato dal regista: «al centro del film c’è il tema della verginità: da una parte quella del corpo, illusione infantile di purezza e di perfezione e dall’altra quella del territorio, metafora di barriere e muri che si alzano a protezione dell’identità. I cuori puri del film, Stefano e Agnese, sono incapaci di tendere al mistero e al rischio della diversità» Tutto ciò arriva alla platea, ma a fasi alterne, poiché il flusso viene continuamente interrotto da digressioni e parentesi che spostano di fatto il fuoco su altro. In tal senso, le stratificazioni non mancano e alimentano la timeline a getto continuo. Semmai è la saturazione il problema, perché nel magma narrativo e tematico che il cineasta capitolino riversa nello script c’è davvero tanto e si fa fatica a isolare il suo baricentro, ossia il cuore pulsante su e intorno al quale fare roteare la storia d’amore di Stefano e Agnese e il tema centrale della pellicola. Come avrete potuto intuire dalla lettura della sinossi, nella ricetta base trovano spazio una serie di ingredienti che da una parte arricchiscono e dall’altra appesantiscono il racconto: la diversità, la complessità dei rapporti, la crisi economica, il male di vivere, il confronto generazionale, i legami familiari e il loro peso che finisce con il mettere in discussione la libertà individuale, ma anche il pregiudizio e la difficoltà a procedere sulla strada dell’integrazione.
Ciononostante, Cuori puri ha dalla sua parte alcuni elementi di pregio che lo tengono a galla sulla soglia della sufficienza, a cominciare dalle emozioni che è capace di provocare nello spettatore, seppur a folate. Non mancano, infatti, momenti intensi (quelli tra i due protagonisti: la spiaggia e il primo bacio sul muretto) e altrettanti di tensione (Stefano al parcheggio e gli scontri fisici e verbali con gli ospiti del campo rom adiacente). Questi momenti impediscono, insieme alle convincenti interpretazioni di Selene Caramazza e Simone Liberati, ma anche alle regia semi-documentaristica (pedinamenti e macchina a mano addosso ai personaggi, alternati alle riprese degli ambienti), di mettere tutto in seria discussione.
Francesco Del Grosso