Riscrivere la storia
Correva l’anno 1985 quando in Rocky IV, terzo sequel dell’omonima e ormai celebre saga cinematografica nata nel 1976, l’Unione Sovietica lanciava la sfida al pugilato statunitense mettendo l’uno contro l’altro il gigantesco e imbattuto Ivan Drago e l’amato campione a stelle e strisce Apollo Creed. Quest’ultimo, conscio dell’importanza anche politica dell’evento e desideroso di tornare a combattere, decise di sfidare il granitico e glaciale avversario nonostante si fosse ritirato da ormai cinque anni. Rocky cercò di convincere l’amico a lasciar perdere, ma Apollo si dimostrò irremovibile e lo convinse ad assisterlo dall’angolo. L’incontro venne organizzato in pompa magna a Las Vegas, ma quella che doveva essere poco più che un’esibizione si trasformò in una tragedia che costò la vita al pugile afroamericano: Apollo cadde infatti sotto i devastanti colpi del russo e, dopo aver supplicato Rocky di non gettare la spugna, morì tra le sue braccia. Toccò poi allo stesso Balboa vendicare l’amico in terra straniera mandandolo al tappeto con un sinistro alla mascella che entrerà nella storia. Il resto lo conosciamo ormai a memoria.
Perdonateci il reminder, ma era d’obbligo per entrare a gamba tesa nel plot su e intorno a quale ruota Creed II, sequel dello spin-off dedicato al personaggio di Adonis Johnson, figlio illegittimo del compianto Apollo, che al contempo consente alla saga di Rocky di proseguire per altre vie il suo percorso sul grande schermo. La storia con la S maiuscola si sa tende ciclicamente a ripetersi, magari cambiando protagonisti e scenari, ma quando ciò non avviene fisiologicamente allora è il destino a metterci lo zampino. Quando anche il fato decide di non intromettersi, a quel punto ci pensano gli sceneggiatori di turno a provare a collocare i tasselli nell’ordine stabilito. Quelli al servizio di Creed II hanno voluto riavvolgere le lancette dell’orologio per poi cucire i fili del passato e del presente. E così l’esistenza di Adonis si è trasformata di fatto nel crocevia tra lo ieri e l’oggi, con il primo che vede una ferita che si pensava rimarginata tornare a sanguinare. Ritroviamo il protagonista a distanza di tre anni dal vittorioso incontro con il britannico Ricky Conlan e dall’immancabile corsa sulla celebre scalinata del Philadelphia Museum of Art. La sua vita è diventata un equilibrio tra gli impegni personali e l’allenamento per il suo prossimo grande combattimento: la sfida delle sfide. Affrontare un avversario legato al passato della sua famiglia, non fa altro che rendere più intenso il suo imminente incontro sul ring. Rocky Balboa è sempre al suo fianco e, insieme, i due si preparano ad affrontare un passato condiviso, chiedendosi per cosa valga la pena combattere, per poi scoprire che nulla è più importante della famiglia. Morale della favola, questa, ricorrente e più volte palesatasi negli episodi precedenti, che qui emerge ancora più prepotentemente poiché ci si trova a fare i conti con il più classico dei ritorni alle origini, alla scoperta di ciò che un tempo ti ha reso un campione, senza dimenticare che, ovunque andrai, non puoi sfuggire al tuo passato. Nel caso di Adonis Creed significa affrontare su un ring tanto i fantasmi quanto le sue paure, che si materializzano sotto forma di Viktor Drago, ossia il figlio di colui che ha messo la parola fine alla vita del padre.
Insomma, di carne ne hanno messa davvero tanta sul fuoco, con le pagine dello script prima e la messa in quadro poi che hanno fatto di Creed II una replica attualizzata con varianti sul tema. Questo perché l’epoca di Rocky IV è lontana, non siamo più negli anni centrali della Guerra Fredda e l’Unione Sovietica si è sciolta come neve al sole in una costellazione di Stati, alcuni dei quali costretti, nonostante l’indipendenza acquisita, a vivere all’ombra dell’allora capocordata Russia e dei retaggi del passato. Ora le cose sono cambiate e sul ring non ci si batte più per l’onore del proprio Paese, bensì per il proprio status e per i legami biologici. E nel mezzo troviamo il vecchio e malato Balboa anch’esso alle prese con questioni ancora in sospeso, chiamato a fare da collante e a tenere insieme i pezzi del mosaico temporale di questo che nel gergo altro non è che uno showdown.
Il racconto si trascina al seguito i temi tradizionali del dramma sportivo, propinandoci anche una furba catena di rimandi che da una parte esalta, stordisce e fa brillare gli occhi agli inguaribili nostalgici, dall’altra infastidisce per la scarsa originalità che ha portato gli autori a non cercare strade nuove da percorrere per raccontare la storia e le gesta pugilistiche di un personaggio che nel DNA drammaturgico aveva in dotazione moltissime cose da sviluppare. Così al momento non è stato e forse qualcosa lo si era già intuito in Creed – Nato per combattere. In tal senso, il passaggio di testimone alla regia da Ryan Coogler a Steven Caple Jr. non ha scongiurato il pericolo, al contrario ha tramutato quel sospetto in una certezza. Creed II, infatti, calca la mano e gioca insistentemente nel corso della sua timeline con l’immaginario e un mix di reminiscenze, situazioni ed emozioni legate alla saga e in primis a quel quarto capitolo che ne ha celebrato la grandezza. E per farlo, Stallone & Co. hanno richiamato all’appello vecchie conoscenze (a cominciare da Lundgren e la Nielsen che tornano a vestire i panni di Ivan e di Ludmilla) e new entry per fare in modo che il cerchio si chiudesse e tutto quadrasse.
Al netto, ciò che resta è un film che escamotage o no riesce a tratti persino ad emozionare quando le emozioni non vengono pilotate con i déjà vu. Per il resto, con quel grado di coattagine contemporanea e quelle strizzate d’occhio al passato che avvolgono il tutto è facile cadere nella trappola costruita da Stallone e dal complice di turno, un Caple Jr. che con The Land aveva mostrato i denti e con Creed II la capacità di aggredire lo schermo con una regia sicuramente d’impatto.
Francesco Del Grosso