One More Cut of the Dead
C’era una volta One Cut of the Dead, piccolo e brillante film giapponese di Shuichiro Ueda, mirabolante scoperta del Far East Film Festival 2018 che fece uscire anche nelle sale italiane, tramite la sua casa di distribuzione Tucker, con il titolo di Zombie contro Zombie. Ora, dopo pochi anni, un remake di quel film dal titolo francese Coupez! (il titolo internazionale in inglese è Final Cut, entrambi sostituiti agli originali Z (comme Z) / Z, like Z per motivi legati alla situazione internazionale) apre il 75 Festival di Cannes. Ne è regista un nome molto caro ai francesi e non solo, quel Michel Hazanavicius la cui opera sembra inesorabilmente costruirsi su altro cinema, sul cinema del passato e non. Come gli OSS 117 sui film di James Bond, The Artist sul cinema muto, o Il mio Godard (Le Redoutable) sulla figura del grande regista della Nouvelle Vague.
Chi non ha visto il film giapponese di partenza troverà sicuramente divertente questo remake, chi al contrario l’ha già visto non potrà che lamentare la mancanza di originalità e fare valutazioni sui reali meriti del pure godibile film francese. Hazanavicius compra in toto il concept di Ueda, e la sua contorta costruzione in tre parti, e il sottilissimo gioco e le sovrapposizioni tra reale e sovrannaturale, tra stage e backstage. Il regista francese ovviamente adatta: il progetto del film nel film è proprio la genesi dello stesso Coupez!, dove si parla di fare il remake di un film giapponese. Compare anche un’attrice di One Cut of the Dead, Yoshiko Takehara, quella dalla faccia più stralunata e bizzarra, qui nella parte di una produttrice, a garantire il ruolo di trait d’union con l’originale. Nella nuova costruzione succede anche che personaggi occidentali abbiano dei nomi giapponesi, il che rientra ancora in quell’intricato garbuglio metanarrativo. Hazanavicius non manca di fare satira anche sul cinema francese ‘impegnato’ e si cita Tarantino come padre nobile di quel tipo di operazioni. Lo stesso cambiamento del titolo di cui sopra è compreso nel gioco complessivo.
Un film di serie A, quindi, fa il remake di un film di serie B (quando non Z), che a sua volta è un’esaltazione dell’artigianalità di un certo cinema povero, indipendente. Quello che, già strutturalmente, l’operazione di Hazanavicius perde, tra i tanti specchi tra realtà, backstage e messa in scena, è proprio quella specularità tra la troupe scalcagnata del film e la vera compagnia di Shuichiro Ueda, di fatto un gruppo di amici che riescono ad autoprodurre un film. Non a caso One Cut of the Dead è stato spesso paragonato, per la genialità artigianale, a La casa di Sam Raimi. Un film con attori francesi importanti, del calibro di Bérénice Bejo, tradisce quella genuinità dell’originale e diventa un qualcosa di molto calcolato, distaccato e artificioso. E in ciò si conferma il limite del cinema di parodie di Michel Hazanavicius, che rimane anaffettivo rispetto al materiale che prende a oggetto per i suoi film. Un regista come Mel Brooks ha costruito una filmografia pure sulla parodia, ma mostrando sempre un grande amore cinefilo per i modelli di riferimento. E un regista come Tim Burton ha fatto incontrare Ed Wood, nel film su colui che è stato qualificato come il peggior regista di tutti i tempi, con Orson Welles evidenziando i tratti in comune tra i due soggetti. E Douglas Sirk diceva che la distanza tra trash e sublime non è così alta. Le parodie di Hazanavicius mancano completamente di pathos, e anche questo suo ultimo film si rivela quale un’operazione alquanto furbetta.
Giampiero Raganelli