La Messa non è finita
Ecco l’agnello di Dio
Chi toglie peccati del mondo
Disse la ragazza slava
Venuta allo sprofondo
Francesco De Gregori, “L’agnello di Dio”
In un paese come la Polonia, dove la mentalità e la cultura cattolica sono così radicate, fare un film che tocchi temi religiosi senza incappare in qualche stereotipo, in qualche strettoia ideologica, in quelle contrapposizioni nette, frontali, che scaturiscono da visioni inconciliabili della vita e dell’assetto socio-politico, non può certo essere definito un compito agevole. Ci è riuscito invece Jan Komasa. E la cosa non ci sorprende più di tanto: a questo giovane ed impetuoso talento del cinema polacco si deve già un film, lo spettacolare e coinvolgente Warsaw 44 (titolo originale: Miasto 44), che ci aveva notevolmente impressionato qualche anno fa al Trieste Film Festival. Tale produzione cinematografica, tra le più impegnative ed economicamente dispendiose mai realizzate in Polonia, aveva quale orizzonte degli eventi il 2014, allorché ci si apprestava a celebrare un anniversario solenne e terribile: i settant’anni trascorsi dalla sanguinosa Rivolta di Varsavia.
Nel film successivo, Corpus Christi (Boże Ciało), pare quasi che Jan Komasa abbia posto le doti registiche già emerse precedentemente, in particolare la potenza visiva e l’attenzione per le suggestioni ambientali, al servizio di una storia ruvida ma dal timbro più introspettivo. Dando così vita a una drammaturgia di notevole impatto, ben calibrata in ogni caso sulle importanti questioni etiche sollevate strada facendo.
Accolto già con un certo entusiasmo in Italia durante la Mostra del Cinema di Venezia 2019, tant’è che le Giornate degli Autori lo hanno visto premiato, Corpus Christi ci ha messo poco a conquistare anche il pubblico di CiakPolska 2019, facendo leva sulle situazioni paradossali affrontate dal protagonista e sull’eccezionalità del suo approdo alla vocazione. Per lui quasi più un viaggio iniziatico che un ordinario racconto di formazione.
Parliamo dunque di Daniel, ventenne che sta andando incontro a una trasformazione interiore profonda, per quanto maturata in circostanze ambientali difficili, visto che si trova in riformatorio per una grave condanna ed attende con ansia il momento di rifarsi una vita fuori. In realtà vorrebbe diventare sacerdote ma nonostante la benevolenza iniziale di Padre Thomas ciò risulta impossibile, a causa di quei precedenti penali. Così, quando viene inviato in una cittadina di provincia per lavorare invece in falegnameria, una serie di curiose circostanze ed il fatto di essersi fatto vedere vestito da prete lo spingono a farsi credere dalla gente del posto ciò che in realtà non è, arrivando persino a sostituire per un po’ il parroco locale, alle prese con qualche serio problema psico-fisico.
L’impatto del giovane finto-prete sulla vita del paesino, reso tangibile da schiette e appassionate omelie che scaturendo dalla vita reale così come da una più ampia concezione umanistica rompono con il dogma, con il cattolicesimo vissuto in modo austero e conformista, risulta frastornante e crea ulteriori fratture tra i compaesani. Specie laddove resta da superare il dolore di una comunità traumatizzata dal grave incidente stradale in cui hanno perso la vita diversi ragazzi del posto, situazione che a qualche memoria cinefila può aver ricordato Il dolce domani di Atom Egoyan, altro splendido apologo sull’elaborazione del lutto. Ma la finzione non durerà, ed il carico di violenza che un Daniel divenuto più consapevole si era lasciato alle spalle tornerà, inesorabilmente, a farsi sentire…
Spiritualità autentica contro scelte opportunistiche e fedi di comodo, in Corpus Christi, incalzante opera cinematografica che affronta una materia delicata senza avvallare né il conformismo religioso né l’avversione sterile, gratuita al sacro; ma facendo in modo che siano gli interrogativi più profondi e le vere necessità dell’essere umano a garantirsi un’espressione forte, meditata, coinvolgente, sullo schermo della sala cinematografica.
Stefano Coccia