«Esiste un aspetto maledetto nella ricerca del potere»
«Il film è un’implacabile parabola sul potere del denaro e ci mostra quanto sia difficile la ricerca della verità quando sono in gioco importanti interessi economici. Gli ostacoli incontrati dalla polizia nello svolgimento delle indagini, mettono in evidenza le resistenze di una società ancora oggi caratterizzata da una grande commistione tra livelli politici ed affaristici», ha dichiarato il regista italo-francese nelle sue note di regia. Non è semplice declinare con nuove sfumature questo grande archetipo, quest’opera si impegna in tal senso e grande merito va dato ai due protagonisti, Massimo Popolizio e Vinicio Marchioni, i quali alzano l’asticella, avendo lavorato adottando un determinato approccio che hanno approfondito nel corso della conferenza stampa.
Governance: sinossi ufficiale
Renzo Petrucci (Massimo Popolizio), manager brillante e senza scrupoli, abile conoscitore dei meccanismi di potere, è costretto ad abbandonare l’incarico di direttore generale di un gruppo petrolifero dopo un’inchiesta per corruzione. Convinto che a tradirlo sia stata Viviane Parisi (Sarah Denys), la giovane collega che ha preso il suo posto, Renzo provoca un incidente stradale e lascia la donna morire intrappolata fra le lamiere della sua auto, coinvolgendo nel fattaccio l’ignaro Michele (Vinicio Marchioni), un suo amico meccanico.
Governance: le dichiarazioni dei protagonisti
D: Nelle note di regia c’è un elemento non indifferente: il film è ambientato nel mondo dell’energia, che è qualcosa che ci accompagna da decenni. È una storia economica ma anche sociale ed culturale, negli ultimi anni si ragiona molto proprio sull’ecologia, la sostenibilità tanto che ci sono anche dei momenti di dialogo del lungometraggio in cui tutto questo affiora. Michael tu hai avuto un’esperienza di passaggio in questo mondo; che ricordi hai di quell’ambiente – che sicuramente è molto cambiato – e quali sono gli elementi drammaturgici che, secondo te, hanno in qualche modo influenzato la scrittura di questa storia (co-sceneggiata con Heidrun Schleef e Giampaolo Rugo) e il desiderio di raccontarla?
Michael Zampino: «Sono passati alcuni anni da quando non lavoro più in questo ambiente per cui molto cose saranno cambiate, soprattutto quella consapevolezza dell’ambiente è molto più forte oggi che dieci anni fa quando io lavoravo ancora nell’industria petrolifera. Era appena passato il grande collasso del 2008, quindi si era verificata una rimessa in discussione di tutto quello che aveva provocato la crisi – basti ricordare i Lehman Brothers – compreso il modello economico di queste grandi aziende che, a poco a poco, si sono riprese e adesso si presentano come i baluardi di un nuovo approccio più rispettoso dell’ambiente. Siamo, di fatto, in un’era di politicamente corretto, dove la comunicazione accettabile diventa la norma e questi grossi gruppi si sono adeguati perfettamente».
D: Le dinamiche di potere, di carriera, di schiacciare il competitor anche all’interno della stessa azienda sono importanti dal punto di vista narrativo?
M. Zampino: «È, in particolare, un grande piacere scrivere di personaggi che hai conosciuto. Nel caso di Renzo Petrucci è il collage di vari personaggi che ho incontrato. Non è uno in particolare; però è più semplice rendere vivo un personaggio sullo schermo e, a monte, in scrittura, quando conosci le sue movenze, l’hai visto all’opera, sai come si comporta in certe situazioni di conflitto. È stato quindi innanzitutto molto ludico scrivere di qualcuno che si materializza davanti a te. Non puoi dire delle bugie o ragionare con degli schemi di scrittura artificiali. È così, punto e basta».
D: Per Massimo Popolizio e Vinicio Marchioni: i vostri ruoli, al di là della qualità dell’interpretazioni, sono apparentemente in due poli opposti in una logica di potere. Come avete messo a fuoco la logica di potere che viene rappresentata?
M. Popolizio: «Ho affrontato diversi personaggi shakespeariani e il copione di Zampino forniva molta carne al fuoco in tal senso. Più che essere un film sull’Eni, dove abbiamo dei trascorsi straordinari, questa società si prende un po’ a metafora per dar vita una sorta di tragedia shakespeariana, con dei tradimenti, un po’ di sesso, amicizie che non sono più tali, lotta per il potere. Proprio per questo la sceneggiatura andava declinata avendo sempre un obiettivo: risultare simpatico a un amico, antipatico a qualcun altro, riuscire a carpire dal prete il terreno, parlare con il politico. Tutta questa serie di obiettivi componevano il personaggio. Renzo ha sempre qualcosa da portarsi a casa ed è bello che in questo ci sia l’imprevisto. Sbaglia obbiettivo [non spoileriamo] e fa qualcosa che non deve commettere. Tra i personaggi di Shakespeare ci sono i biliosi, cioè quelli che hanno una sorta di furore interno: ho fatto appello a quel tipo di conoscenza perché, a mio parere, questo personaggio è mosso da una sorta di furore, di bile, di motore interno».
V. Marchioni: «Ho sempre visto Michele come una formichina poiché inizia dallo strato inferiore. Ha quest’amicizia con Renzo, che per lui è sempre stato un punto di riferimento, quantomeno la persona che poteva aiutarlo a trovarsi una posizione migliore di quella che ha. Da questa amicizia, nella maniera più italiana possibile, cerca di avere una raccomandazione per avere qualcosa in più nella vita. Comincia con tutte le migliori intenzioni possibili: un giovane uomo che ha una famiglia da crescere, di cui occuparsi. Renzo è un uomo di successo, arrivato, che ha il potere ed è un punto di riferimento per Michele. Avviene quello che si verifica in una tarda serata e l’aspetto interessante dell’opera è che, in tutta la parte in cui Renzo insegna delle cose a Michele prima di affidargli l’autolavaggio; Michele gli succhia tanto altro: l’arrivismo, il cinismo, la possibilità di approfittare di determinate occasioni. È un po’ un corso di formazione per arrivare agli obiettivi di cui parlava Massimo. C’è un po’ uno scambio di personalità, se vogliamo. Era molto stimolante questo travaso di insegnamenti».
D: A un tratto sembra che ci sia uno scambio di ruoli… Lo squalo resta sempre squalo e il pesce piccolo, per quanto ci provi, non ce la fa a vincere sullo squalo?
M. Popolizio: «Squalo ci si diventa. Convinto come sono che ci si ricordi dei personaggi o degli attori soprattutto per le piccole cose più che per le grandi; uno spunto dato da Michael a cui ho subito attinto è che Renzo venisse dal basso. È un personaggio che sa come ci si comporta sulla strada, alle pompe di benzina. Per esempio, abbiamo inventato il modo in cui mangia. Mangia come se avesse sempre questa fame atavica, questo furore di mangiare, che non è normale evidentemente. Questo un po’ lo accomuna a Michele, probabilmente uno è riuscito e l’altro no, ma le origini sono le stesse. Forse la mia mamma e quella di Michele avevano il medesimo background. Renzo è riuscito pagando certi prezzi, uno dei quali è il non saper dimostrare affetto. Apparentemente anaffettivo, probabilmente è un padre che vuole molto bene alla figlia, ma non sa come si fa. Vuole molto bene al figlio di Michele, ma gli dà cinquanta euro, non ha un altro modo di esprimerlo e questo è un prezzo che si paga se ti prefiggi l’obiettivo di diventare qualcuno a prescindere da tutto.
Se dovessi fornire un sottotitolo a tutto questo direi: se vuoi badare al tuo profitto e ai profitti, qualcosa di non bello ti succederà».
V. Marchioni: «Torna il discorso degli obiettivi citato da Massimo in precedenza. Quello di Michele era di avere un autolavaggio. Quando lo raggiunge – pensando a precedenti più grandi di noi – pecca di hybris nei confronti di Renzo. Gli domanda ancora di più e giustamente viene risistemato dagli dei, in questo caso da Renzo, che lo rimette al suo posto. Nel momento in cui ti macchi di qualcosa di orrendo per raggiungere il tuo scopo, questa macchia ti rimarrà dentro per sempre, a prescindere se la giustizia umana farà il suo corso o meno e, in questo senso, il finale del film è molto esemplificativo.
Le intenzioni di Michele sono ‘positive’, sono quelle che tutti i padri di famiglia hanno; però, la strada per la perdizione è lastricata di buone intenzioni, com’era scritto da qualche parte. Mi sembra un buon modo anche di riflettere sul modo con cui pensiamo alle cose, la tendenza a classificare il bene e il male, il cattivo e il buono. In realtà, nella vita, questi aspetti si mescolano sempre e le scelte che uno fa, ogni tanto si ritrova a farle per ottenere qualcosa, ma poi ci si guarda indietro e ci si rende conto che per ottenerla si è compiuto delle cose forse non meravigliose».
D: Ne L’erede il potere – in modo diverso – è il motore della storia. Michael perché ti appassiona in maniera così determinante?
M. Zampino: «Non avevo fatto caso a questa continuità col mio primo film e Governance. Intuitivamente, come affermava Massimo, sento che il potere può, quando lo cerchiamo ossessivamente, essere fonte di un dramma, di una tragedia personale, di una solitudine. C’è un aspetto maledetto nella ricerca del potere. Questo è carburante per ogni drammaturgo, regista e sceneggaitore che vuole raccontare una storia accattivante. Non è stato però un calcolo di questo tipo che mi ha spinto a scrivere quest’ultimo lavoro. La cornice del petrolio è un retroscena. Seguiamo questi personaggi e attraverso di loro raccontiamo anche un habitat, ma non è il contesto che trascina la storia. Il film non ambisce a dimostrare nessuna tesi. Noi seguiamo Renzo e attraverso di lui raccontiamo anche un mondo: questo è il filo conduttore. Il potere suscita una certa attrazione fatale su di loro; ma provoca anche tanta solitudine – e la scena finale rimanda al sottotitolo del film».
D: Il mondo del petrolio è ancora molto attuale. Zampino potrebbe approfondire quello che ha affermato in precedenza e cioè che molti gruppi si siano adeguati al politically correct?
M. Zampino: «Credo che la British Petrolium sia stata la prima a riorientare la comunicazione verso un maggiore rispetto dell’ecologia e della natura. Non è solo una strategia di comunicazione, ma è anche una necessità industriale perché oggi si prevede che nel 2050 non ci saranno più motori alimentati con energie fossili. Questa transizione è stata ben recepita da questi grandi gruppi e ovviamente sono sempre visti con alcuni sospetti perché associati a dei drammi dell’inquinamento che hanno segnato la nostra storia. Finché non passeremo tutti al solare o all’elettricità, continueremo ad averne bisogno. Il personaggio di Massimo rappresenta la vecchia guardia anche se non è un uomo vicino al pensionamento. È un top manager cresciuto con quello spirito da pioniere, di cotruzione, in cui le tematiche ambientali non esistevano. Lui doveva costruire, sviluppare la rete, comprare aziende all’estero e cercare participazioni nelle raffinerie. È un uomo che ha contribuito a costruire questa società fondamentale per l’economia del paese; però si ritrova, oggi, in un contesto che non è più suo, da lì nasce l’aspetto ironico e tragico di questo ruolo».
D: Popolizio ha pensato a Gassman interpretando questo ruolo?
M. Popolizio: «Siamo un po’ come delle spugne. Mi fa piacere l’accostamento, conoscevo Vittorio, veniva sempre a teatro. Credo che lui sia stato quello che ha sdoganato l’attore teatrale a teatro, cioè un attore teatrale a teatro può essere efficace. Lui era over, fuori misura, ma essendo fuori misura, era credibile. In un certo senso, se questo vale anche per me, mi fa molto piacere. Posso essere certe volte fuori misura, ma l’importante è che in questo trovi una credibilità.
Per quanto riguarda le parti da cattivo, che spesso mi sono ritrovato a incarnare: il mondo non è fatto di buoni. È difficile trovare un vero buono, a meno che non faccia proprio finta. Fondamentalmente, il mondo è popolato da cattivi. L’importante è stare fuori dallo stereotipo del cattivo – e vale anche per lo stereotipo del buono».
D: Vinicio hai dato corpo a dei cattivi, alcuni fissati nella memoria di tutti, e la cosa più difficile sta proprio nel non cadere nei luoghi comuni. Come si riesce a sottrarsi alla gabbia, che può essere anche molto rassicurante?
V. Marchioni: «Penso sia fondamentale porsi le domande più giuste, quali sono i punti di partenza che hanno portato un essere umano a fare quelle scelte e a essere ciò che è. Personalmente nella costruzione mi piace sempre partire dalle mancanze, da ciò che il personaggio non ha – dagli elementi pratici a quelli psicologici e fisici. Si è fatto l’esempio di Romanzo criminale – la serie, la domanda delle domande è: ma quand’è che uno prende coscienza che può essere ucciso ogni giorno o uccidere tutti i giorni. In base agli interrogativi che ti poni fai tutti gli approfondimenti possibili. Sono essenziali le motivazioni: quello che manca a quel personaggio e cosa lo spinge a comportarsi in quel modo. L’essere umano è anche cattivo.
Noi siamo abituati a dare delle definizioni di qualsiasi cosa, però, gli istinti dell’uomo vanno anche in quella direzione. La cattiveria, l’odio, il rancore, l’istinto alla violenza sono emozioni che quotidianamente reprimiamo per il quieto vivere, per la buona educazione e perché viviamo in una società per cui è la cosa migliore da compiere per la convivenza civile. Non possiamo, però, dimenticarci che proveniamo dagli animali e in quanto tali abbiamo degli istinti primordiali. La grandezza di fare l’attore è che puoi mettere in scena tutto quello che fa parte dell’essere umano e con i cattivi ti puoi anche divertire molto di più. Mi piace riportare sempre tutto alla grandissima meraviglia del gioco che questo mestiere ti permette».
Governance – Il prezzo del potere è disponibile dal 12 aprile 2021 su Amazon Prime Video.
Maria Lucia Tangorra