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Come essere amata

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VOTO: 8

Teatro di guerra

Giovedì 16 novembre, al Palazzo delle Esposizioni, nella stessa serata che vede in programma anche il cortometraggio La radiografia (1974) di Krzysztof Kieślowski, l’evento clou è senz’altro l’incontro con il regista cinematografico e teatrale, nonché sceneggiatore e docente Robert Gliński, invitato per l’occasione a introdurre il cinema di Wojeciech Jerzy Has, lo stesso regista cui Gliński aveva dedicato nel 2012 il documentario Tracce. La notorietà di Wojciech Has si deve soprattutto a Il manoscritto trovato a Saragozza (Rękopis znaleziony w Saragossie, 1964), tra i cui estimatori possono essere annoverati Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, e La clessidra (Sanatorium pod klepsydrą, 1973), vincitore del Premio della Giuria al 26° Festival di Cannes.
Ad essere stato scelto per CiakPolska Film Festival 2023 è invece Come essere amata (1963), melodramma storico del quale colpiscono sia il carisma degli interpreti che le contaminazioni così feconde con la Letteratura e il Teatro.

L’intenso lungometraggio di Has, che nella circostanza si è ispirato a un romanzo breve di Kazimierz Brandys, vede peraltro quale protagonista – nei panni di una sì malinconica eroina – la straordinaria Barbara Krafftówna, a dir poco perfetta nell’incarnare i diversi stati d’animo, che passano dall’entusiasmo al mal d’amore, dal fervore alla disillusione, di un personaggio come Felicja; attrice prima teatrale e poi di drammi radiofonici, i cui sentimenti verso l’ambiguo e fondamentalmente pavido compagno di palco Wiktor Rawicz sembrerebbero nati, sin dal principio, sotto una cattiva stella.
Sullo sfondo la Polonia occupata dai Nazisti, come in tante altre pellicole girate nel Dopoguerra. Con l’immancabile proliferare di vili collaborazionisti, singoli atti di eroismo e vittime innocenti dell’immane tragedia. Come essere amata si distingue comunque dal resto della produzione per vari motivi. Intanto l’articolata, labirintica struttura a flashback, che permette allo spettatore di familiarizzare a poco a poco con ciò che è cambiato a distanza di anni nella vita della protagonista, sia sul piano esistenziale che su quello prettamente materiale. E poi le interferenze con il linguaggio e la tradizione teatrale: la protagonista stessa sembra immedesimarsi più volte nel personaggio di Ofelia. Sebbene poi, a qualche occhio cinefilo lanciatosi alla ricerca di arditi collegamenti, il suo sacrificio d’amore così ostinato e protratto nel tempo possa ricordare anche una successiva, celebre pellicola di Truffaut, Adele H. – Una storia d’amore (L’histoire d’Adèle H., 1975), con quel gusto del mélo parimenti portato alle estreme conseguenze.

Stefano Coccia

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