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C’mon C’mon

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VOTO: 6.5

Che fatica essere zio

Sorprende la presenza di Gaby Hoffman tra gli attori, nel ruolo della madre abbastanza preoccupata di aver lasciato il piccolo figlio Jesse in mano allo zio (suo fratello) poco esperto, poiché molto probabilmente è un inside jokes di Mike Mills. Uno scherzo molto cinefilo e raffinato, perché la Hoffman, ancora bambina, aveva interpretato assieme a Macaulay Culkin (prima che perdesse l’aereo e diventasse ricco) Io e zio Buck (Uncle Buck, 1989) di John Hughes e con lo strabordante John Candy. Anche in quel film uno zio poco affidabile doveva occuparsi per qualche giorno di tre infanti, poiché i genitori dovevano adempiere ad alcune delicate questioni familiari fuori città. Chiaramente Io e zio Buck e questo C’mon C’mon hanno una caratura qualitativa nettamente differente, considerato che la prima è una pellicola comica tout-court (tutta poggiata sulla comicità pasticciona di Candy), mentre il lungometraggio di Mike Mills, dietro la patina di commedia spiritosa, ha una pulsazione narrativa riflessiva.

Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2021, C’mon C’mon, oltre a essere una piacevole sorpresa, è anche la conferma di come Mike Mills si stia ritagliando, film dopo film, un suo spazio autoriale ben delineato, ovvero la trattazione delle relazioni tra genitori e figli, declinandole a ogni tappa attraverso differenti punti di vista. Il regista Mills ha scritto in solitaria la sceneggiatura, e il suo tocco migliore è quello di saper descrivere bene il mondo dell’infanzia, non argomentandola in modo superficiale e allo stesso tempo non impelagandosi in discorsi ampollosi. E in tale ambito ha anche il meritorio compito di saper gestire le qualità attoriali del piccolo Woody Norman, già con una sua carriera. Il protagonista Johnny, interpretato da un arruffato Joaquin Phoenix, sta quotidianamente a contatto, per lavoro, con il mondo dei bambini e degli adolescenti, eppure non li conosce. Sa fare le domande, ma quando il nipote Jesse gli rivolge qualche questione, lo zio non sa rispondere, oppure glissa sull’argomento. Per descrivere queste due figure a confronto, questa strana coppia generazionale, è perfetto recuperare il titolo del secondo lungometraggio di Mills, ossia Beginners (2010). Ambedue sono dei principianti, e se Jesse lo è perché è ancora un bambino, e non sa come relazionarsi con il mondo esterno (e non sa gestire le emozioni), Johnny è un novizio come figura genitoriale, essendo stato fino a qualche anno prima solamente un figlio. Da quest’incontro, raccontato anche utilizzando lo schema del road movie (per lavoro Johnny si sposta in alcune città americane), quello che apprenderà maggiormente la lezione sarà proprio la persona adulta. L’on the road usato da Mills è anche utile per mostrare le differenti realtà infantili sparse per gli Stati Uniti (un bambino di New York ha diversi stimoli rispetto a uno di Detroit), dopotutto le fittizie interviste di Johnny sono state realizzate con veri bambini, e le sue domande sono compilate come se fosse un vero documentario. Il raffinato bianco e nero, curato da Robbie Ryan, serve per trasformare il racconto in un ricordo, come se tutti quei momenti fossero già accaduti e cristallizzati nel ricordo dei protagonisti.

Roberto Baldassarre

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