La rabbia giovane
È davvero difficile scrollarsi di dosso l’ansia, il malessere e il disagio che un film come Class Enemy è in grado di provocare nello spettatore, anche quello che normalmente riesce a rimanere impassibile o a creare un distacco nei confronti delle immagini che scorrono davanti ai suoi occhi. Sono sensazioni e stati d’animo che la folgorante opera prima di Rok Biček mette in moto, che restano a lungo nella mente e nella retina del fruitore di turno. Ma prima che con le immagini, quest’ultimo dovrà giocoforza fare i conti con le parole, veri e propri macigni che arrivano a pesare molto di più delle azioni. Di conseguenza, il loro peso specifico fa crescere in maniera esponenziale la forza dei dialoghi e in generale contribuisce a dare solidità strutturale e drammaturgica alla sceneggiatura, scritta a sei mani dal regista con Nejc Gazvoda e Janez Lapajne. Ne è sufficiente una sola, infatti, sbagliata o male interpretata, a scatenare un “incendio” indomabile, come accade in una classe come tante, di un liceo come tanti in quel della Slovenia, “teatro” del violento corto circuito didattico e umano raccontato nella pellicola di Biček, a sua volta liberamente ispirata alle pagine di “Nemico di classe” (1978) di Nigel Williams.
L’apparente tranquillità e la patina di normalità che sembrano avvolgere il tutto vengono improvvisamente meno a causa del suicidio di una studentessa. La sua morte spezza gli equilibri. Il dolore dei ragazzi si traduce immediatamente in rabbia e la rabbia, alimentata da interrogativi esistenziali troppo difficili da affrontare, si traduce in caccia: caccia al colpevole, caccia al nemico. Una scorciatoia emotiva che impatta, fatalmente, contro il nuovo professore, il durissimo Robert: il colpevole perfetto, il nemico perfetto. Quello che va in scena tra le quattro mura dell’istituto potrebbe sembrare dopo una manciata di minuti il solito conflitto intergenerazionale, quello che abitualmente anima i plot degli school movie. Ma il cineasta sloveno va ben oltre, allargando a macchia d’olio l’orizzonte tematico del racconto (l’educazione, il rapporto tra il mondo adulto e quello adolescenziale, il confine tra la vita e la morte, la violenza psicologica, l’elaborazione del lutto, l’uguaglianza tra le razze e l’immigrazione), bonificandolo dalle sabbie mobili degli stereotipi del filone di riferimento, come avevano fatto in precedenza Laurent Cantet con La classe o Philippe Falardeau con Monsieur Lazhar. E per farlo, Biček fa sua la lezione di quegli autori come Michael Haneke, Christian Mungiu o Andrey Zvyagintsev che, con i loro film, giocano costantemente con un pericolo che è sempre in agguato, nascosto nei minimi dettagli quotidiani della vita. In Class Enemy è l’ambiente scolastico a diventare la cartina tornasole della Società odierna e delle sue innumerevoli contraddizioni, con la rivolta degli studenti contro il Sistema che non è altro che l’immagine riflessa dello scontento sociale globale, che sfrutta ogni (in)giusto motivo per ribellarsi contro le norme vigenti.
Il risultato è una potentissima metafora dal forte impatto emotivo, capace di conquistare vette altissime con scene palpitanti come la lettura del tema da parte Mojca, la verifica orale di Primož, la riunione dei genitori con i docenti o il discorso di Robert alla classe nell’ultima ora di lezione. Ci si trova al cospetto di un cinema duro, diretto e privo di filtri, a tratti persino spietato (il colloquio tra Robert e Sabina), che arriva al dunque senza inutili giri di parole, portatore sano di una serie di messaggi e non di banali metafore sul cosa sia giusto oppure sbagliato. Regia e interpretazione si fanno veicoli straordinariamente efficaci per la trasmissione sul grande schermo dei suddetti valori, con una macchina da presa a mano che sta sempre incollata ai corpi e un coro di talentuosi giovanissimi attori orchestrati alla perfezione da un Igor Samobor in stato di grazia nel ruolo di Robert a chiudere il cerchio.
Insomma, un’opera prima fra le migliori prodotte nelle ultime stagioni, da non lasciarsi sfuggire assolutamente. Per chi se la fosse persa alla 28esima Settimana della Critica in quel del Lido nel 2013, dove si è aggiudicata il Premio Fedora, oppure in occasione dell’uscita nelle sale nostrane con la Tucker Film, allora la distribuzione in home video da parte della CG Entertainment diventa un’opportunità ghiotta per recuperarlo comodamente nel salotto di casa. Particolarmente ricco e interessante il comparto extra, dove è possibile trovare, oltre alla consueta galleria di trailer, anche due cortometraggi ancora inediti in Italia, ossia Day in Venice (2008) e Duck Hunting (2010), realizzati da Rok Biček durante il suo percorso accademico alla University of Ljubjana, nei quali è possibile intravedere alcuni stilemi ricorrenti e le tracce evidenti di un talento fuori dalla norma.
Francesco Del Grosso
Slovenia – 2013 durata 108′
Regia: Rok Biček Cast: Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleznik
Lingue: Italiano Dolby Digital 2.0 e 5.0, originale 2.0 e 5.0 Sottotitoli: Italiano, italiano per non udenti
Extra: Day in Venice (19′) e Duck Hunting (23′), due corti di Rok Biček; Trailer Distribuzione: CG Entertainment