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Citizen K

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VOTO: 7

Mai dire… Manzai

Alla fine il grande Beat Takeshi non ce l’ha fatta a raggiungere Udine. Lo scorso 29 aprile l’oggettiva difficoltà di spostarsi tra paesi lontani, in un mondo fiaccato da restrizioni sanitarie e guerre in corso, ha prevalso sul desiderio di esserci. Ma il collegamento a distanza con Kitano, nel momento della consegna virtuale del Gelso d’Oro alla Carriera all’immenso cineasta giapponese, poco prima che sul grande schermo venisse proiettato un capolavoro come Sonatine (1993), è riuscito comunque ad assicurare al pubblico del Teatro Nuovo Giovanni da Udine un bel po’ di emozioni. In parte dovute al fatto che Takeshi Kitano sta già realizzando un altro film e che questa, per sua stessa ammissione, potrebbe essere una gran bella occasione per compiere quel viaggio in Italia solamente rimandato. Ma lo stesso impagabile racconto dell’autore di come egli si sia ritrovato all’aeroporto internazionale di Narita e giusto all’ultimo abbia rinunciato alla trasferta friulana (“Mi ero organizzato per arrivare da voi ed ero pronto a partire”, ha affermato tra le altre cose) ha finito per strappare un sorriso, per quei dettagli surreali e per quel taglio così naïf, che a tratti ci ha fatto pensare di essere entrati direttamente in un suo film. Come se con lui risulti in ultima analisi impossibile tenere separati il poliedrico artista e la persona reale, calata nella vita di tutti i giorni.

Questa sensazione ci ha accompagnato per parecchio tempo in Friuli. E ad accrescerla è stata senz’altro, durante il 24° Far East Film Festival, la visione di Citizen K, il documentario del francese Yves Montmayeur dedicato proprio a Kitano. Per inciso quest’omaggio cinematografico non ci ha entusiasmato come era successo, invece, al momento di confrontarci con Satoshi Kon: The Illusionist, anch’essa curiosamente una produzione transalpina. Il limite di Citizen K è a nostro avviso la fretta con cui sono stati liquidati alcuni episodi della ricca filmografia dell’autore. L’assenza di determinati capitoli, insomma, all’interno di questa biografia per il resto assai appassionante. Ci sono mancati in particolare la follia anarcoide di Getting any? (1994) e il delicato lirismo del sottostimato Il silenzio sul mare (1991)…
Quanto al resto, però, la ricerca documentaria di Yves Montmayeur rivela una certa profondità sia nell’inquadramento di singoli film (vedi il premiatissimo Hana-bi – Fiori di fuoco o lo stesso Sonatine), sia nell’indagine (compiuta spezzettando una lunga intervista) di Kitano uomo e cineasta, figura le cui stesse movimentate vicende biografiche vengono a essere portatrici di senso, premesse di trasformazioni artistiche rilevanti sia che si parli del Kitano intrattenitore televisivo (quello dei programmi comici irriverenti resi un tempo popolari anche in Italia dalla Gialappa’s Band, attraverso una trasmissione “cult” come Mai dire Banzai), sia che si faccia riferimento alle diverse fasi di una carriera cinematografica il cui elevatissimo contenuto artistico è stato forse riconosciuto prima in Occidente che in patria.
Dall’adolescenza turbolenta di un Beat Takeshi che frequentava tanto ambienti teatrali fuori dagli schemi che le gang in odore di Yakuza del suo quartiere, passando per la cesura così forte a livello sia fisico che emotivo dell’incidente in moto, sono parecchi gli spunti messi egregiamente a fuoco. L’invito è a recuperare comunque il documentario per scoprirli uno alla volta. Vogliamo pertanto limitarci a isolare una tappa fondamentale, quell’imprescindibile momento di crescita umana e professionale rappresentato per Kitano dalla scoperta del Manzai, una forma di cabaret affine alla stand-up comedy e molto popolare in Giappone, che lo spinse a fondare un duo comico (assieme al sodale Kaneko Jiro) il cui successo è durato a lungo sui canali della televisione nipponica. Contribuendo anche a strutturare i tempi e le modalità del suo stralunato umorismo. Ed è simpatico ricordare che la coppia di attori detti a loro volta Manzaishi viene pure omaggiata in alcune simpatiche gag, che vedono coinvolti studenti delle superiori, del nostalgico e a tratti aspro Kids Return, altra pellicola ai nostri occhi sottovalutata ma di straordinario appeal emotivo.

Stefano Coccia

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