Si può attraversare un ‘maremoto’ amoroso?
Chiamami ancora amore (basandoci sulla visione della prima puntata, trasmessa in prima visione su Rai1 lunedì 3 maggio), per la regia di Gianluca Maria Tavarelli e con protagonisti Greta Scarano (Anna) e Simone Liberati (Enrico) in quanto coppia – e un ruolo molto rilevante lo assume il figlio undicenne Pietro (Federico Ielapi) – è una serie che potrà dilaniarvi il cuore, darvi anche molto direttamente pugni nello stomaco per alcune scene così realistiche, passando per momenti in cui vi sembrerà di accarezzare l’amore; ma non si esime dal rilanciare domande, anzi, in alcuni momenti si è proprio ‘tartassati’ e non si può sfuggire agli interrogativi che restano post visione.
«Come si fa ad amare così tanto e a sbagliare tutto lo stesso?
Solo chi ami può distruggerti. Solo la persona a cui hai rivelato le tue debolezze e i tuoi errori, a cui hai chiesto aiuto e ne hai dato, solo quella persona può davvero rovinare la tua vita.
Anna ed Enrico si sono molto amati. E poi si sono molto odiati.
Dopo undici anni di matrimonio e un figlio, si separano.
La loro separazione diventa ben presto una guerra distruttiva, col risultato che i servizi sociali sono costretti a intervenire per valutare la loro capacità genitoriale. Com’è possibile che una coppia che è stata così complice e affiatata non riesca a risparmiarsi umiliazioni e vendette?
Come può un amore così grande sfociare in un odio tanto cieco?
Toccherà a un assistente sociale andare in fondo alla loro storia, ripercorrendola dall’inizio fino a scoprire il vero motivo dello scontro» (dalla nota ufficiale).
Tutto comincia da quell’atto che spesso suggella l’amore: il matrimonio, ma la struttura della serie prevede un continuo incastro di tempi, tra salti nel passato – e, quindi, l’amore che è stato, la spensieratezza, ma anche l’imprevisto – e la situazione attuale: «Caro Enrico… possiamo allontanarci nel modo speciale con cui ci siamo avvicinati», scrive Anna in un’email in una delle prime scene ambientate nel presente. Si (com)partecipa con loro all’indagine sul proprio amore, ora adottando i dubbi e le domande di una, ora dell’altro, ma anche osservando la reazione del figlio e soprattutto lo spettatore spesso si identifica nel ruolo dell’assistente sociale, Rosa (molto in parte Claudia Pandolfi), la quale è chiamata a indagare letteralmente in un amore che sembra essersi spezzato, nel legame tra i due, con l’essenziale pensiero di valutare la compatibilità genitoriale di ciascuno dei due e come davvero stia vivendo il tutto il piccolo Pietro.
Chiamami ancora amore è stata creata da Giacomo Bendotti e si può affermare che Gianluca Maria Tavarelli abbia saputo ben cogliere lo spirito «di una grande modernità di racconto» per cui per metterla in scena ha deciso di mettere da parte l’artificio cinematografico, ma che «questa storia avesse bisogno di stare addosso agli attori, con la macchina a mano, con un taglio quasi documentaristico, di strada perciò era necessario spogliare la regia di tutto quello che costituisce l’artificio spettacolare a cui oggi siamo abituati – come droni e grandi movimenti – optando con la macchina da presa che sta addosso agli interpreti così da conferire molto ritmo alla scena», ha spiegato nel corso della conferenza stampa. Effettivamente questa scelta, insieme all’ottima sceneggiatura (stilata dallo stesso Bendotti con Sofia Assirelli) e al cast, a partire dai due protagonisti principali, passando per tutti gli altri (da Giorgio Colangeli a Lorenzo Gioielli, da Elisabetta De Vito ad Agnese Nano – per citarne alcuni, oltre a quelli già nominati), hanno dato vita a una serie fortemente realistica ed empatica, capace di tenerti incollato allo schermo come, forse, non accadeva da un po’ di tempo – in particolare per la tv generalista. Greta Scarano, oltre a dimostrare ancora una volta una grande versatilità nel calarsi in panni diversi, incanta per la spontaneità e l’espressività che le sono proprie, come se le si potesse toccare con mano. Nella sua risposta al nostro interrogarla sul rapporto madre-figlia ha onestamente affermato come per lei sia viscerale, irrepricabile. «Nel caso di Anna c’è una situazione per cui è orfana di madre e questo rappresenta un enorme peso nella propria vita. Il fatto che sia consapevole che la sua stessa presenza abbia rappresentato per la madre uno stravolgimento dell’esistenza (molto forte la scena in cui da ragazza, svela al giovane Enrico quanto avesse sofferto e che, a un certo punto, avesse smesso di chiamarla mamma, nda) – come, in effetti, ha fatto in parte anche lei con Pietro – questo è un senso di colpa che si porta dietro e che vive in maniera catartica con il figlio Pietro. Oggi l’educazione di un figlio è molto appannaggio della donna e la maternità si porta con sé una grande solitudine».
Per quanto riguarda l’importante rapporto con l’assistente sociale con acutezza ha espresso un passaggio chiave: «Ritengo che Giacomo abbia dato vita a qualcosa di estremamente unico, che non si è mai visto perché è una relazione che si crea tra due donne ed entrambe si aprono gli occhi a vicenda. Ritengo che in Chiamami ancora amore il femminile sia stato raccontato in maniera dirompente, innovativa ed estremamente realistica».
Nel connubio con Liberati, che ben cavalca i diversi registri, danno corpo a un ritmo molto sostenuto, in cui un momento prima lo spettatore si lascia trasportare dalla scoperta dell’innamoramento tra i due, dagli sguardi al loro matrimonio; un momento dopo resta fortemente coinvolto dai colpi bassi che l’uno tira all’altra e viceversa, dall’aggressività che può emergere in una ‘lotta’ pur essendosi amati.
Il regista torinese (recentemente ha diretto anche la serie sempre targata Rai “Io ti cercherò”, in cui al centro c’era il rapporto padre-figlio) ha intitolato proprio la sua opera seconda Un amore, con Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina, e lo stesso Tavarelli, rispondendo a una nostra domanda ha dichiarato: «Sicuramente tra Un amore e questa selfie c’è un filo rosso che li unisce: oltre al sentimento amoroso e la coppia, direi come il tempo influisca sulla coppia, come tutto quello che accade nel nostro quotidiano condizioni la vita di due persone che si amano. Ritengo, per quanto mi riguarda, che racconto del rapporto uomo-donna sia quello più interessante. Quando ho realizzato il mio secondo film ero molto giovane, anche in quel caso i due protagonisti passavano dai venti ai quarant’anni, ma questi ultimi erano come io li immaginavo all’età di venticinque anni. Oggi dentro questa storia c’è una verità, quel maremoto attraverso cui passano è sicuramente più vero perché l’ho vissuto e quello che immaginavo l’ho visto e forse ora lo metto in scena in una maniera più aderente alla realtà, meno sognata di quando avevo venticinque anni».
La serie, che prevede altre due serate (10 e 17 maggio, prodotta da Indigo Film in collaborazione con Rai Fiction), ha anche il pregio evidenziato da Tavarelli di spingersi da un punto di vista narrativo. «Ci è stato consentito di raccontare anche l’aborto, l’utilizzo della pillola per effettuarlo in una maniera molto libera e ritengo che questo sia un grande cambiamento per la tv italiana».
Sarà letteralmente impossibile rimanere indifferenti a tutto ciò a cui assisterete, dai non detti ai gesti estremi. «Ci siamo tutti noi in questa serie».
Maria Lucia Tangorra