Una ricetta già letta, ma gustosa
Jon Favreau è il protagonista e regista di Chef – La ricetta perfetta, una commedia estiva e leggera senza troppe pretese. Carl Casper è uno Chef affermato, in un ristorante di Los Angeles, dove non ha modo di esprimere la sua creatività. Stanco di essere ostacolato, lascia il lavoro e riscopre l’amore per la cucina a bordo di un food truck, insieme al migliore amico Martin (John Leguizamo) e suo figlio di dieci anni.
Dopo i primi due Iron Man, Favreau si mette alla prova con una commedia divertente, ma già “masticata”. La trama rischia l’ingessatura all’interno di una struttura circolare e ovvia. Carl ha alle spalle un divorzio e, troppo preso dal lavoro, trascura suo figlio. Dopo essersi licenziato, compie un’esperienza emozionante, che gli insegna a concentrare l’attenzione sui valori della vita: amore, famiglia, amicizia. È possibile ipotizzare la fine melensa del film dopo i primi dieci minuti dall’ inizio. Nonostante la trama banale, la pellicola ha i suoi pregi. La fotografia e la direzione registica compiono davvero un buon percorso, tant’è che alcune sequenze culinarie si rivelano alquanto appetitose. I dettagli, i colori, le composizioni regalano ai fotogrammi un profumo delizioso, che fanno venire l’acquolina in bocca.
La confezione è farcita con un’ottima soundtrack, indispensabile per incalzare le scene in cucina e in viaggio. Anche il ritmo della battuta è ben scandito, e gli sketch comici strappano allo spettatore più di un sorriso. Inoltre Favreau possiede una dirompente e naturale carica comica, che ha permesso al suo personaggio di partire avvantaggiato.
Insomma, nella sceneggiatura ci sono dei lati positivi: è innegabile che i personaggi principali risultino consonanti e piacevoli, ottimi per trascorrere un pomeriggio spensierato, seduti al cinema. Piccoli ruoli affidati a Dustin Hoffman, Scarlett Johansson e Robert Downey Jr, eppure funzionali e calibrati. Non sono camei e neppure protagonisti, ma pillole funzionali, come gocce di cioccolata nell’impasto del panettone.
“Volevo scrivere una sceneggiatura da zero e lasciare che i personaggi parlassero con la voce che io volevo dargli, affidando questa voce ad attori con cui desideravo lavorare e poi vedere tutto questo dove mi avrebbe portato” afferma il regista.
Nella minestra un ingrediente spicca tra gli altri: è il tema della multimedialità. Inizialmente Carl è impegnato in una lotta su Twitter con un critico culinario e, successivamente, grazie ai social network, riesce a creare un’enorme cassa di risonanza nei luoghi in cui approda il furgone. Il gradimento passa attraverso i “like”, e il vero successo è in rete, virale. La metafora è davvero stuzzicante e provocatoria: ha più potere, e crea più mercato, un video su youtube rispetto a una critica gastronomica.
Si intuisce una nota aspra nei confronti della critica cinematografica “Ho trovato molte somiglianze tra il mondo del cinema e quello culinario” afferma l’autore paragonando la figura creativa dello chef a quella di un regista o un attore davanti alla macchina da presa. “Sai quanto lavoro c’è dietro quando stronchi il mio lavoro con supponenza?” afferma Carl durante il dibattito con il critico; mettendo in rilevo la difficoltà dietro il processo creativo e la facile superficialità con cui può essere disintegrato in due righe critiche. Ma la rivincita è del regista, che illumina lo scettro democratico della rete, che se ne infischia dei critici e giudica per conto suo. La domanda che emerge dal sottotesto è silenziosa, ma pungente: “A che servono i critici nell’era 2.0? “, ai lettori l’ardua sentenza!
Federica Bello