(In)sanità
“Lunedì scorso ho avuto il piacere di presenziare alla proiezione di “C’era una volta in Italia” il docu-film di Federico Greco e Mirko Melchiorre che, partendo dalla lotta per riaprire l’ospedale di Cariati in Calabria, ripercorre le tappe della distruzione del SSN italiano negli ultimi venti anni (un SSN che nel 2000, secondo l’OMS, era il migliore al mondo dopo quello francese) mostrandoci le conseguenze per i cittadini italiani che, in alcuni territori come quello calabrese, sono di fatto privati dell’accesso alle cure sanitarie di base. Un fatto che è sotto gli occhi di tutti. Molti di noi infatti (TROPPI!) non hanno bisogno di un film per sapere queste cose.
“C’era una volta in Italia” è però un film che tutti dovrebbero vedere perché va dritto alle cause e ai responsabili del problema: le politiche liberiste attuate da tutti i governi al potere negli ultimi 30 anni.
Meno Stato, più mercato. Con le privatizzazioni, cioè, si tolgono ai cittadini quei diritti che erano garantiti dallo Stato, per renderli un bene da comprare sul mercato. Un mercato super redditizio, quello della salute e della malattia, offerto in pasto ai privati.”
Marco Rizzo
Produzione indipendente e barricadera, distribuzione alternativa, C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando ha già cominciato a girare l’Italia. Col suo carico di coraggio, ricerche a 360°, atti d’accusa, inchieste accurate e apprezzabile situazionismo, tutto rivolto a identificare e smontare una delle truffe del secolo: la sistematica demolizione della sanità pubblica in Italia, coi più inquietanti retroscena socio-politici sullo sfondo. Domenica 18 dicembre matinée al Quattro Fontane di Roma, lunedì 19 dicembre rapida tappa torinese, martedì 20 dicembre proiezioni serali ancora nella capitale (Greenwich) e a Firenze (Cinema Stensen), l’intenso tour attraverso la penisola è destinato poi a proseguire anche nelle prime settimane del 2023. Con al seguito, molto spesso, i due autori, Federico Greco e Mirko Melchiorre. Poiché le proiezioni del loro documentario, oltre a rappresentare un potenziale shock per gli spettatori, sono votate qualora vi sia questa opportunità a trasformarsi in piccole, estremamente partecipate assemblee. Ne abbiamo avuto un assaggio col pubblico così infervorato di domenica al Quattro Fontane…
Ma perché “Giacarta sta arrivando”? Coloro che in platea hanno confidenza con la filmografia del documentarista statunitense Joshua Oppenheimer, si fa riferimento ovviamente a The Act of Killing (L’atto di uccidere, 2012) e The Look of Silence (2014), sono destinati a far meno fatica di altri, al momento di decifrare l’agghiacciante riferimento iniziale: Il “metodo Giacarta” (cfr. Vincent Bevins), ovvero le terribili conseguenze dell’eccidio commesso in Indonesia tra il 1965 e il 1966, una strage che costò la vita a centinaia di migliaia di persone portando all’insediamento del tetro regime militare di Suharto, dispiegatosi a difesa degli interessi nell’arcipelago di governi occidentali e multinazionali. Ma questa ingerenza violenta di politiche sovranazionali, questo volto sporco e opprimente della globalizzazione, può agire anche ad altri livelli e condurre a scombussolamenti non meno profondi, attraverso la progressiva demolizione dello stato sociale e in particolare della sanità pubblica: ne abbiamo avuto ampie dimostrazioni proprio in Italia, dove nel corso di qualche decennio governi di centro-destra e – SOPRATTUTTO – di centro-sinistra si sono adoperati alacremente in tale direzione, producendo assai perniciose modifiche legislative, tagli devastanti a livello economico, conseguenti chiusure di ospedali e di altri presidi medici, parimenti correlati favoritismi nel confronti del settore privato. Il risultato di tutto ciò? Non è azzardato definirlo a sua volta un genocidio strisciante. Perché quando le prestazioni del sistema sanitario nazionale vengono meno, l’aumento dei decessi e la difficoltà crescente nel curare adeguatamente svariate patologie diventano il termometro del disastro in corso. Chiunque consideri con obiettività la gestione raccapricciante e fallimentare della recente pandemia nella penisola italiana, specie in alcune regioni, può rendersene facilmente conto.
E a proposito di regioni italiane, assai riuscita è in C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando l’applicazione di uno schema narrativo già sperimentato con successo nel precedente PIIGS, ossia il continuo alternarsi sullo schermo di analisi generali e di qualche caso specifico, concreto, osservato invece da vicino, come attraverso una lente d’ingrandimento. Il macrocosmo e il microcosmo, potremmo anche dire. E nel caso specifico, la piccola realtà “adottata” dai registi è quella di Cariati, in Calabria, il cui ospedale (fino ad allora esempio virtuoso) era stato smantellato assieme a tante altre strutture ospedaliere italiane pienamente efficienti, in occasione di uno di quei tagli di bilancio previsti da esecutivi del tutto disinteressati al benessere della popolazione; e guidati al contrario da interessi decisamente più loschi, come quelli di cui si discusse a suo tempo su un’imbarcazione, il Britannia, il cui nome dovrebbe essere associato a sciagure imminenti almeno quanto il Titanic. Comunque a Cariati la lotta per riaprire quell’ospedale, la cui assenza ha rappresentato una piccola tragedia da subito, per assumere contorni ancora più tragici nell’era Covid, ha visto coinvolti tanti gagliardi militanti che nel corso di C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando lo spettatore impara a conoscere, verosimilmente ad amare. Con un nume tutelare d’eccezione a fare da megafono all’intera vicenda: Roger Waters! Sì, perché il musicista dei Pink Floyd, un vero lottatore anti-sistema al contrario di certe strombazzate pop-star che si compiacciono di qualche selfie accanto all’ambiguo Zelensky, è tra coloro che si sono prodigati per tale causa. Naturale, quindi, che gli “sfacciati” Federico Greco e Mirko Melchiorre abbiano scomodato anche lui, assieme a un Ken Loach come sempre monumentale, ad economisti e ricercatori sanitari dalla carriera impeccabile, per puntellare e sostanziare la loro analisi degli effetti del sinistro, devastante “metodo Giacarta”, in Italia e nel mondo. Ma soprattutto in Calabria. Scelta per l’occasione quale terreno di scontro/incontro con una realtà senz’altro amara, ma rappresentata/fotografata in modo indubbiamente vivace. Rispetto al pur lodevole, necessario PIIGS, si respira pertanto un diverso, cresciuto appeal cinematografico, frutto di idee di regia e di montaggio a dir poco insolite, nel panorama di un cinema di denuncia italiano che, rispetto al passato, appare talvolta scolorito, smorto. Ecco, gli autori di C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando in tale contesto filmico hanno riportato il colore. E il calore. A questo punto chi di dovere faccia uno sforzo in più: porti il film nelle scuole, nelle università, negli ospedali, perché certe cose non solo vanno mostrate, studiate, ma devono essere fruite attraverso ricerche impostate proprio così.
Stefano Coccia