Commedia alla serba servita in salsa politically incorrect
Si presenta con il suo amato quattrozampe peloso, la regista Milica Tomovic, nella videopresentazione del suo Celts (Kelti, 2021) alla 33ª edizione del Trieste Film Festival; una presentazione fuori dagli schemi, come originale e brillante è il suo lungometraggio, che al summenzionato festival ha ricevuto una menzione speciale “per la capacità di raccontare tutto un mondo attraverso un solo gruppo di famigliari e amici, una sola casa e una sola sera, per come costruisce un film corale attraverso una sceneggiatura minuziosa e un uso indagatore della macchina da presa“. Un film che racconta, sullo sfondo della crisi balcanica dei primi anni 90, la vita quotidiana e gli intrecci, familiari ed amorosi, di una famiglia allargata (a parenti, amici, amanti) a Belgrado, tra ironia e commedia agrodolce, un pizzico di Parenti serpenti, un altro del Grande Freddo, un altro ancora di Io so che tu sai che io so. Se Monicelli riuniva una intera famiglia per le feste di Natale, qui l’occasione è la festa per l’8° compleanno della figlia minore, festa in maschera a tema Tartarughe Ninja, vera passione della bimba; ma la Tomovic ha un occhio registico tutto suo, dissacrante ed originale sin dalla prima inquadratura, per descrivere al contempo la storia dei personaggi e di una città in profonda crisi economica dovuta all’iperinflazione.
Siamo nell’inverno 1993 a Belgrado, a ottobre è stata emessa la banconota da 50 miliardi di dinari jugoslavi, al mercato il burro costa 40 milioni di dinari; le famiglie devono fare i conti con le spese quotidiane, cercando però di non far pesare la crisi sui bambini. Cosi, se il burro costa troppo, si usa la margarina per la torta; e se acquistare il desiderato cocker spaniel all’estero è fuori portata, ci si fa prestare un meticcio tripode dai vicini di casa per il giorno di festa. E mentre arrivano gli ospiti, la casa si anima e si divide; da un lato i bimbi giocano, dall’altra si consumano drammi e commedie familiari, intrecci ed amori vecchi e nuovi, ma tutti, grandi e piccini, vivono il loro conflitto personale nell’arco di una serata che si rivelerà tutt’affatto particolare.
I Kelti (celti) del titolo sono gli stessi protagonisti, nel loro sentirsi estranei allo stereotipo slavo e discendenti dell’etnia che, nel III secolo a.C., fondò il villaggio dove ora è il centro di Belgrado; in tal senso, nella profonda divisione in atto, i vari personaggi esprimono, ciascuno a suo modo, la propria opinione sulla politica separatista dei Balcani. Cosi, se il fratello gay della padrona di casa, Marijana, medico, è deciso a partire per l’Olanda con il compagno per non vedere più l’orrore portato dalla guerra, il figliol prodigo punk dalla cresta verde, convertitosi da nazionalista serbo ad anarchico, afferma la comune appartenenza dei popoli ex jugoslavi ad un unico genere: quello umano. Ma nel brillante film della Tomovic, la politica resta sullo sfondo, ben delineata ma mescolata con l’ingrediente della commedia all’italiana dall’umorismo serbo; ecco allora il marito di Marijana che non fa sesso con la moglie da un anno, spingendola prima al quotidiano autoerotismo e infine all’aperta liberazione sessuale, ecco il triangolo con la coppia lesbica in crisi, ecco l’attrice che attira l’attenzione di tutti, ecco i due giovani di casa ascoltare musica rock imparando a pogare, ecco il cuginetto imbranato che combina un guaio dopo l’altro; finché un temporaneo blackout mescola la carte in gioco, sciogliendo inibizioni e confusione, portando chiarezza e linfa vitale a vecchi e nuovi amori.
Una commedia folle, divertente, dal retrogusto agrodolce, Celts; ben strutturata, girata con un taglio registico brillante ma non superficiale, con una scelta di inquadrature a volte spiazzanti ma perfette nell’incastro della storia, che riescono a descrivere con pochi sapienti tocchi il fulcro dei singoli personaggi. Fino alla conclusione poetica, di speranza ed innocente sguardo sul futuro.
Michela Aloisi