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Cat Sick Blues

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VOTO: 6.5

Il gatto nero sulle tette che scottano

Arriva dall’Australia, diritto sugli schermi della 36esima edizione del FantaFestival, il delirante e truculento Cat Sick Blues di Dave Jackson. Ma il fatto in sé non dovrebbe sorprendere più di tanto i cultori della materia visto ciò che la cinematografia della terra dei canguri è stata in grado di partorire sul versante horror negli ultimi decenni, da Night of Fear (1972) di Terry Bourke ai due sanguinolenti capitoli di Wolf Creek, nei quali Greg McLean ha portato al cinema le efferate gesta del sadico Mick Taylor.
Non alla stessa altezza, ma non meno disturbato mentalmente e spietato con le proprie vittime del celeberrimo e temuto “collega”, il protagonista della pellicola del cineasta di Melbourne è davvero inquietante, di quelli che vanno tenuti a km di distanza. Il suo nome è Ted Henson, un ragazzo piuttosto problematico che in seguito alla morte dell’amato gatto Patrick, subisce un fortissimo trauma che lo spinge a provare a riportare in vita il suo amico felino, ma tutto quello che serve sono nove vite umane. Del resto, credenze popolari a parte, nel cinema di matrice orrorifica il suddetto animale non ha mai avuto un ruolo rassicurante, basti pensare alle versioni di Black Cat che Lucio Fulci, Charles Krauss e Dario Argento (episodio di Due occhi diabolici) hanno tratto dall’omonimo racconto di Edgar Alan Poe. Ma qui la responsabilità dei nefasti e terribili accadimenti non è di un felino particolarmente aggressivo, bensì di un tizio apparentemente comune che va in giro a maciullare gente, conservandone le teste mozzate nel surgelatore e il sangue in bidoni della benzina. E per farlo indossa una maschera da gatto nero, dei guanti con lame affilate e una gigantesca protesi a forma di pene posizionata nelle parti basse, con la quale si diverte a dare il colpo di grazia smembrando le vittime di turno. Insomma, un maniaco, pervertito e serial killer davvero pericoloso, da rinchiudere e far marcire in una cella per il resto della sua esistenza. A vestirne i panni un efficacissimo Matthew C. Vaughan, vero motore portante di un film che si poggia per una gran parte proprio sul suo personaggio e sulla sua interpretazione, dall’altra sullo stile eclettico e sul lavoro di messa in scena del regista.
Da parte sua Dave Jackson, qui alla sua seconda prova sulla lunga distanza dopo Cannibal Suburbia e una serie di cortometraggi rigorosamente di genere, mette in mostra buone capacità tecniche, affiancando al minimo sindacabile qualche soluzione visiva degna di nota (l’incubo di Claire interamente in fish eye, la corsa in rallenti nel canale di scolo prosciugato e l’entrata sempre in rallenti nel dj set psicadelico dell’ostello) e almeno una scena da ricordare, vale a dire quella della mattanza nel dormitorio femminile.
Il tutto per mettere in quadro una maionese impazzita di ingredienti, tra i più disparati, con i quali si è soliti condire il macro genere di riferimento. Il regista australiano li scomoda praticamente tutti, alternandoli oppure mescolandoli senza soluzione di continuità, passando dallo snuff movie (la decapitazione on line della prostituta) al torture porne, dallo splatter al gore e al serial-thriller, per chiudere in “bellezza” con la possessione demoniaca. Proprio questo cocktail, preparato senza dosare ed equilibrare le dosi, ma procedendo per accumulo, non fanno altro che saturare la timeline. In tal senso, si ha come la sensazione che Jackson, drammaturgicamente e narrativamente parlando, si sia limitato a riempire lo script con tutto quello che gli passava per la testa, senza curarsi della compattezza e della completezza del racconto; un po’ come gli americani sono soliti fare quando riempiono il tacchino il giorno del ringraziamento. Sta qui, in questa mancanza di controllo e di gestione dei singoli ingredienti, il problema di fondo di Cat Sick Blues, perché di contro quegli stessi ingredienti, se presi separatamente, funzionano e svolgono il proprio compito in maniera più che dignitosa, disturbando e creando reazioni di ribrezzo nello spettatore (vedi il parto animalesco nel bagno della clinica psichiatrica). Meno efficace e ridondante, invece, il discorso portato avanti nell’arco del racconto sull’uso distorto dei social e la condanna sulla manifestazione della violenza. Di conseguenza, consigliamo la visione di Cat Sick Blues a un tipo di pubblico in cerca di piaceri forti e senza particolari pretese pseudo-autoriali, perché quello offerto da Dave Jackson è solo un gigantesco baraccone.

Francesco Del Grosso

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