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Cassandro, the Exotico!

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VOTO: 8

L’amazzone volante

L’audiovisivo, in particolare il documentario, si è occupato in più di un’occasione del mondo del lucha libre, che per chi non lo sapesse è un tipo di lotta libera nato in Messico negli anni trenta e molto diffuso sul territorio. La caratteristica principale sta proprio nello stile utilizzato, molto più veloce del wrestling tradizionale: si preferisce di gran lunga l’uso di manovre aeree a scapito della forza fisica, sacrificando spesso il realismo dei match. A memoria ci tornano Lucha Mexico di Alex Hammond e Ian Markiewicz, Tales of Masked Men di Carlos Avila, Luchadora di River Finley e anche una serie televisiva targata Netflix dal titolo Nuestra Lucha Libre.
Insomma, sull’argomento sono state spese un numero considerevole di immagini e parole, che hanno permesso al pubblico del piccolo e grande schermo di conoscere lo sport in questione e molti dei suoi più o meno illustri esponenti. Eppure qualcuno mancava all’appello e ci ha pensato Marie Losier a rimediare all’assenza. Il suo nome è Saul Armendariz, meglio conosciuto come Cassandro, la regina indiscussa degli Exóticos, ossia dei lottatori di lucha libre – spesso apertamente gay – che si travestono da donna per contrastare le regole machiste del mondo cui hanno scelto di fare parte. Con una lunga carriera alle spalle è riuscito a cancellare i pregiudizi, passando dallo status di pagliacci a quello di sportivi rispettati. Pur senza indossare la tipica maschera del luchador, ma agghindandosi con trucchi e lustrini, Cassandro è una figura indubbiamente fuori da ogni schema: ricercata e variopinta, cangiante ed iperfemminile, che si muove in un ambiente spietato, fatto di combattimenti spesso all’ultimo sangue.
In Cassandro, the Exotico!, con un documentario intenso e toccante che ha lasciato il segno su tutti gli schermi sui quali è transitato (da Cannes 2018 sino a quelli milanesi del 26° Sguardi Altrove Film Festival e del 33° Festival Mix Milano), la regista francese ha dipinto un ritratto biografico che riesce a restituire le tantissime sfumature di una personalità assai complessa. Per farlo ha scelto un approccio diretto e informale che, alle classiche interviste frontali, ha preferito una raccolta di confidenze che raggiungono un livello di complicità fortissimo e piuttosto raro in operazioni come queste. Ciò ha permesso alla Losier di cogliere l’essenza e le sfaccettature dell’essere umano ancora prima che del valoroso combattente, restituendo il tutto in un’opera che diverte e allo stesso tempo riesce a scaldare le corde dello spettatore.
Nel film il protagonista racconta e si racconta con una naturalezza e una verità che conquista, mentre la macchina da presa in 16 mm lo ascolta e lo pedina dentro e fuori dal ring per raccontare le varie facce della stessa medaglia, quelle di un uomo che porta sul corpo e nella mente molte più cicatrici di quelle che si possono vedere. Le cicatrici di un uomo che ha attraversato un lungo periodo di dipendenza da droghe e alcol, che ha subito abusi da bambino e il cui corpo porta i molteplici segni di una pratica sportiva estenuante (torna alla mente The Wrestler di Darren Aronofsky), le cui sofferenze sono supportate e mitigate dalla religione cattolica, dal misticismo indiano e dalla sua devozione assoluta alla lucha libre.

Francesco Del Grosso

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