Home In sala Archivio in sala Carol

Carol

216
0
VOTO: 8

L’educazione sentimentale

Gli anni cinquanta sono visti, oggi, come un periodo elegantemente cinematografico. Le macchine d’epoca, i vestiti ricercati quand’anche semplici, il vizio del fumo come tendenza inevitabile. Ma dietro le convenzioni? Todd Haynes, con Carol (tratto dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith, scritto peraltro in quello stesso periodo sotto pseudonimo), ritorna a quell’epoca in apparenza nostalgica dopo Lontano dal Paradiso (2002), per inseguire i suoi personalissimi fantasmi. Tra questi non occupa certamente un posto di rilievo Douglas Sirk, sebbene Haynes ne ripercorra nuovamente le cifre stilistiche con la dovuta devozione – e perfezione filologica – ma anche sottolineando una personalissima impronta autoriale che consiste nel far emergere, attraverso un raffinato procedimento maieutico troppo spesso scambiato per calligrafismo, tutte le stridenti contraddizioni del tempo. Le quali sono rimaste, tristissimo a dirsi, più o meno invariate anche nell’oggi, a sessant’anni di distanza. Questi sono gli incubi che si agitavano – e continuano a farlo – dietro il grande Sogno Americano.
Anche in Carol, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2015 dopo il passaggio in Concorso all’ultimo Festival di Cannes, c’è la patina di melodramma, rappresentato dall’attrazione che si stabilisce tra la Carol del titolo (una più che mai iconica Cate Blanchett, ormai da considerare alla stregua di una Greta Garbo contemporanea) e la giovane commessa Therese (una splendida, per recitazione in sottrazione, Rooney Mara, premiata a Cannes per la performance), che genera tutte le conseguenze del caso. A partire da una causa intentata dal marito di Carol per l’affidamento della figlioletta, per “indegnità morale” della consorte comunque in via di separazione dall’uomo. Ma, come sempre, Haynes è abilissimo nel preparare una torta a più strati, perfetta nell’aspetto ma decisamente amara quando si affonda il cucchiaino in essa. Il quesito che pone il cineasta nativo di Los Angeles è cristallino nella sua purezza morale: dando per scontato che il Moloch rappresentato dalle regole sociali di ieri e di oggi si muove con estrema lentezza, quanto può fare il singolo individuo per accelerare tale processo e soprattutto assecondare i propri desideri senza danneggiare chi ha qualcosa da perdere? In Carol viene tratteggiata con abilità la differente estrazione sociale delle due protagoniste. Carol è una signora appartenente all’alta borghesia newyorchese, Therese è una giovane donna che sta tentando di farsi strada nella vita. Di fronte all’innamoramento, ogni barriera è destinata a cadere. E tuttavia, pur il film interrogandosi in una maniera splendidamente filosofica sulla transitorietà della passione fisica, rimanda il nucleo del discorso alla centralità del sentimento. La possibilità di un amore mette sempre il singolo individuo di fronte ad una scelta, cioè se coltivarlo o meno. Non erano maturi i tempi per una relazione interrazziale nel già citato Lontano dal Paradiso, anche per una debolezza intrinseca del personaggio interpretato da Julianne Moore; in Carol – ed è uno scarto determinante – la porta viene lasciata aperta. Grazie alla forza delle due donne, con Therese che si guadagna il passaggio all’età adulta tramite un percorso di inevitabili sofferenze e lacrime. Visto come unica possibile tappa di crescita in un lungometraggio capace di appagare in pieno sia lo sguardo che il cuore degli spettatori. Uomini compresi; poiché Carol, portando alla luce le esecrabili sovrastrutture costruite da una società di stampo maschilista a molteplici latitudini, non fa che inchiodare la categoria alle proprie responsabilità. La donna, o chiunque altro sia costretto a partire da più lontano, può farcela, ad arrivare dove si vuole. Anche se il prezzo da pagare rischia spesso di divenire molto alto.
La consueta lezione di stile impartita – non solo senza un briciolo di pedanteria ma anzi perfettamente funzionale allo scopo ultimo del testo filmico partorito – da Todd Haynes in Carol, pone sempre una dolorosa questione morale appena dietro una superficie degna di assoluta contemplazione. Basta possedere la curiosità di guardare oltre. Il cinema, del resto, è sempre un’illusione a cui segue obbligatoriamente il ritorno alla realtà. Carol compie tale tragitto al proprio interno. E per questo, in aggiunta al resto, è da non perdere.

Daniele De Angelis

Articolo precedenteCrimson Peak
Articolo successivoGame Therapy

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

dieci − cinque =