La transizione
Nella mission di un festival dedicato interamente a una cinematografia c’è, oltre al proporre un campionario significativo della produzione più recente, anche il tentativo di consegnare al pubblico una line-up in grado di mostrare come questa si sia confrontata con il ventaglio dei generi a disposizione. Non fa eccezione il River to River Florence Indian Film Festival, che per la sua ventesima edizione ha consegnato agli spettatori una serie di pellicole appartenenti a generi differenti, tra cui la fantascienza. Lo ha fatto con la proiezione in streaming di Cargo, l’esordio sulla lunga distanza di Arati Kadav, uno Space Opera che ci porta a bordo dell’astronave Pashpak 634A, laddove Prahastha fa approdare le persone appena decedute. Lavora in un’azienda pioniera nell’informatizzazione, transizione e riciclaggio dei defunti per la loro rinascita sulla Terra. Un giorno la giovane astronauta Yuvishka lo raggiunge per fargli da assistente.
Il film esplora la loro relazione e l’idea di vita e di morte, di speranza e desiderio, che c’è dietro al rispettivo approccio al lavoro. Un confronto via via sempre più intenso che cambierà entrambi e che porterà uno dei dei a maturare delle decisioni importanti sul proprio futuro. Ma Cargo è anche un film che, attraverso una chiave Sci-Fi, affronta in maniera originale e inedita un tema molto caro alla religione indiana, quello della transizione che conduce alla reincarnazione. Proprio questa originalità consente all’opera di incuriosite e attirare l’attenzione dello spettatore. La stessa curiosità che abbiamo provato noi al primo impatto con un plot davvero accattivante.
Purtroppo la visione non ha però soddisfatto le aspettative nei confronti di un film con dei limiti strutturali e di confezione piuttosto palesi, a cominciare dagli effetti speciali artificiosi e da un look retrò fin troppo evocativo, che vuole furbescamente strizzare l’occhio alle saghe galattiche dei bei tempi che furono. La Kadav fa quello che può, ma quello che è riuscita a portare sullo schermo non è abbastanza per competere con molte operazioni analoghe. Della serie vorrei ma non posso, per un progetto che punta in alto, ma si deve scontrare con un genere che al momento sembra fuori portata per l’autrice e per la cinematografia alla quale appartiene. L’amaro in bocca però resta, perché l’idea al centro della storia aveva un enorme potenziale. Potenziale purtroppo sfruttato solo in minima parte da una scrittura parecchio discontinua, prolissa e con rari momenti di vera lucidità (vedi l’arrivo del primo defunto e la consegna della monetina, chiaro rimando al tributo da pagare alla figura mitologica di Caronte, oppure allo sbarco di gruppo sull’astronave degli invitati a un matrimonio ancora festanti, morti durante un incidente stradale).
Pur apprezzando il coraggio per averci provato e l’impegno messo in campo dagli attori protagonisti (Vikrant Massey e Shweta Tripathi) per sembrare credibili, Cargo non ha la forza per affrontare una sfida ancora troppo grande per chi la fantascienza e le sue esigenze tecniche e drammaturgiche deve ancora farle proprie.
Francesco Del Grosso