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Captain Fantastic

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VOTO: 7.5

L’ultima Utopia

Definire Captain Fantastic un lungometraggio appartenente alla controcultura contemporanea sarebbe alquanto riduttivo, oltre che ragionamento viziato da un errore di fondo. In primo luogo perché l’opera seconda di Matt Ross – i fedelissimi delle serie televisive lo avranno ben presente, come attore, nella parte dell’antagonista Gavin Belson nel caustico Silicon Valley – sotto la patina socio-politica racconta in realtà una storia di pregnanti sentimenti famigliari. In seconda battuta perché lo script scritto dallo stesso Ross segna una sorta di epitaffio alla cosiddetta esistenza alternativa lontano dai deleteri “ismi” imperanti nella società d’occidente, quali capitalismo, consumismo eccetera, eccetera. Il sogno da “buon selvaggio” di una vita a strettissimo contatto con la natura maestra ed una cultura tutt’altro che sterile memorizzazione di concetti, si arena nel momento in cui, per andare avanti, ha bisogno di fornirsi di regole. Per cui il progetto fortemente voluto da Ben Cash (il solito, eccezionale Viggo Mortensen) e sua moglie Leslie di crescere i propri sei figli in questo modo si trasforma – soprattutto dopo il suicidio della donna a causa di un forte esaurimento nervoso da disturbo bipolare – in una sorta di utopia nei confronti della quale si aspetta solamente l’inevitabile termine. E infatti in Captain Fantastic – presentato in concorso nella sezione Alice nella città dell’undicesima Festa del Cinema di Roma – è ben più importante il dettaglio rispetto alla prevedibilità di una trama che funge da mero pretesto per raccontare al pubblico tematiche di sicuro spessore in modo accattivante, capace di alternare momenti ora drammatici ora molto divertenti.
Per questa ed altre ragioni Captain Fantastic, titolo ovviamente riferito al ruolo del pater familias, potrebbe far storcere il naso ai puristi per quella sua cornice tipicamente indie, che però non nasconde il desiderio di piacere un po’ a tutti. Se la sequenza iniziale, con la caccia al cervo e la sua relativa uccisione a scopo alimentare, poteva lasciar presagire un dramma a tinte forti in stile Mosquito Coast (1986) di Peter Weir – peraltro film troppo frettolosamente liquidato come malriuscito ibrido tra avventura e tragedia greca, all’epoca –  il prosieguo del film si colloca su tonalità assai più morbide, ricche di parentesi irresistibilmente umoristiche (la dichiarazione d’amore del primogenito di famiglia alla ragazza incontrata nell’area di sosta; l’eccentrico festeggiamento del compleanno del vate Noam Chomsky in data qualunque) e battute tanto spiritose quanto salaci. Matt Ross si cimenta infatti nel gioco facile ma assieme arguto di smascherare l’ipocrisia borghese attraverso l’accostamento della famiglia proveniente dalle foreste con quella “cittadina”, dando vita a siparietti che scatenano l’applauso a scena aperta anche per la loro facilità di lettura. Del resto il maggior pregio del Ben padre di famiglia risiede proprio nella sua scelta radicale di dire sempre e comunque la verità ai figli, sia grandi che piccoli. Quasi uno schiaffo alla cortina protettiva che i genitori tipicamente occidentali innalzano attorno ai loro bambini, costretti in seguito ad affrontare uno scarto esistenziale sin troppo elevato quando il gioco della vita si farà inevitabilmente duro.
Captain Fantastic sarebbe allora un film da studiare con la massima attenzione soprattutto da un punto di vista pedagogico, presentando con grande obiettività i pro ed i contro di un’educazione tanto naturalistica quanto, giocoforza, basata su regole simil-militaresche. Ed è partendo da questa tematica che il film amplia la sua visione fino ad un discorso affatto banale sulle (poche e relative) differenze tra dittatura realizzata e totale anarchia vagheggiata. Al di là di una serie di epiloghi sin troppo rimasticati e perciò tirati per le lunghe in nome di una poesia ricercata attraverso simbolismi di eccessivamente facile interpretazione, Captain Fantastic – al pari del personaggio cui dà vita Viggo Mortensen – ci ricorda da ultimo una verità schiacciante: determinate utopie esistono solo nella mente di chi ci vuole credere. Poiché esse si dissolvono come nebbia al sole non appena vengono a contatto con una realtà composta in larga prevalenza da persone ben attente a qualsiasi altra prospettiva che non siano i sogni.
Sebbene assistere per un paio d’ore alla proiezione di Captain Fantastic resterà comunque una bella e formativa esperienza sia per i giovanissimi che, a maggior ragione, per gli adulti.

Daniele De Angelis

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