Un punk russo tra Pasolini e il Corviale
In questo periodo il capitolino Nuovo Cinema Aquila trabocca di iniziative. A maggio, per esempio, è stato il momento di Cani sciolti, una serie di quattro brevi documentari proiettati ogni venerdì del mese con incontri non meno avvincenti a seguire, per restituire al pubblico un ritratto più sfaccettato e approfondito del personaggio di turno. Protagonisti difatti quattro soggetti ugualmente dotati di gran carattere: Abel Ferrara, Valeria Bruni Tedeschi, Omar Pedrini ed Eduard Limonov. Quest’ultimo risultava forse il meno noto al pubblico di casa nostra. Ed è comunque quello che in noi ha suscitato maggior interesse, tant’è che in sala ci siamo affacciati proprio per la forte curiosità, maturata nel corso degli anni, nei confronti di questa chiacchieratissima figura della scena politica russa. Tornando per un attimo alla cornice dell’evento, i quattro documentari in questione sono stati realizzati dall’esperto Mimmo Calopresti, che di tale cinema è anche direttore artistico, con la collaborazione di Alessandro Ferrucci cronista de Il Fatto Quotidiano. Lavori snelli, quasi “informali”, i loro, corroborati però da felici intuizioni riguardanti la natura dei personaggi presi in esame.
Con Cani sciolti – Eduard Limonov, proiettato venerdì 17 maggio, abbiamo avuto perciò l’occasione di familiarizzare un po’ con il controverso fondatore del Partito Nazional Bolscevico: accusato in Russia d’aver condotto attività di spionaggio durante la Guerra Fredda, oppositore di Putin che ha conosciuto anche il carcere e portavoce di ideali convintamente rivoluzionari, ma dai riferimenti ideologici alquanto eterogenei, cui non ha mai rinunciato del tutto.
Come procedendo per cerchi concentrici, il disinvolto docu-ritratto firmato da Calopresti e Ferrucci parte da un inquadramento generale del personaggio (cui contribuiscono anche sfiziosi materiali di repertorio), per poi centrare l’obiettivo su un recente passaggio di Limonov in Italia, paese nel quale aveva anche vissuto per un breve periodo ai tempi dell’Unione Sovietica; con tanto di “pellegrinaggio” ad Ostia, compiuto sulle orme dell’intellettuale (nonché martire, in virtù del proprio impegno civile) al quale il russo pare guardare con maggior rispetto: Pier Paolo Pasolini.
Accennavamo del resto al suo formidabile sincretismo ideologico: da Bakunin a Evola, da Stalin a Mishima, da Alain de Benoist a Che Guevara e allo stesso Pasolini, i punti di riferimento dello sfacciatissimo pensatore (e uomo d’azione) russo, lanciatosi in politica cavalcando l’onda della musica punk e dei movimenti giovanili di protesta, sono quanto mai vari. A ricordarcelo non soltanto le immagini, ma anche il successivo dibattito in sala, che assieme alle testimonianze personali di Calopresti ha proposto quelle di validi esponenti dell’ambiente letterario, editoriale, tra cui l’altro moderatore della serata, Sandro Teti, il quale ha citato più volte l’intrigante biografia che il francese Emmanuel Carrère dedicò a Limonov.
I momenti più significativi del documentario restano comunque quelli che, oltre al carismatico leader “NazBol”, vedono protagonista Roma. Da un lato la sconcertante epifania di un Corviale mai così bello (e siamo coscienti del paradosso) sul grande schermo, con la sagoma del “Serpentone” e gli ambienti forse meno noti della sua struttura trasfigurati dallo sguardo di Limonov stesso, visitatore dall’approccio alla realtà mai scontato, anzi, decisamente trasognato, naïf. E poi l’omaggio reso al monumento di Pasolini a Ostia, frangente durante il quale osservare lo sguardo visibilmente commosso, quasi tremante del russo, finisce per rendere partecipe persino lo spettatore emotivamente più distaccato.
Stefano Coccia