Lost in London
Dopo esser passata attraverso il Purgatorio dello streaming, in questi lunghi mesi di restrizioni sanitarie, l’amata rassegna capitolina di cinema irlandese si è finalmente riavvicinata all’Empireo, ossia all’insostituibile grande schermo, grazie a una lodevole iniziativa ribattezzata IFFSummerArena. Ovvero le due proiezioni di lungometraggi programmate al Teatro all’aperto della Casa del Cinema il 31 luglio e 1° agosto: rispettivamente Bruno di Karl Golden ed Extra Ordinary di Enda Loughman e Mike Ahern. Insomma, un’Irish Film Festa formato arena. E viste le emozioni riscontrate tra gli spettatori della Casa del Cinema sabato sera, possiamo dire che con Bruno questa nuova avventura sia partita decisamente bene.
Nel presentare il film al pubblico, la direttrice del festival Susanna Pellis ci ha tenuto a rimarcare come una precedente opera di Karl Golden fosse stata selezionata per la primissima edizione dell’Irish Film Festival. Ebbene, proprio la scia positiva lasciata da The Honeymooners (2003) ci aveva fornito i presupposti per comprendere su quali orizzonti, permeati di sensibilità e di emozioni giocate sul filo del non detto, dei sentimenti non gridati, si muova la poetica del cineasta irlandese; uno, peraltro, che sa scavare nella sfera intima dei personaggi senza ricorrere ai benefici di grosse produzioni. Fino a privilegiare, in Bruno, un approccio ultra-indipendente, che lo ha poi spinto a girare in una turbolenta periferia londinese, senza avere neanche quei permessi che gli avrebbero agevolato le riprese. Con uno spirito quindi da guerrilla film-maker desideroso di raccontare le sue storie a tutti i costi.
Lost in London. Vite sospese, anime erranti, in una metropoli che pare inghiottire con la sua indifferenza pene indicibili, date da piccole e grandi tragedie private. L’azione ruota attorno alle peregrinazioni, tanto diurne che notturne, dell’enigmatico Daniel (interpretato con la giusta intensità dall’emergente Diarmaid Murtagh, già avvezzo alle scorribande della serie Vikings), un uomo ancora giovane che fa vita da clochard probabilmente perché mai del tutto ripresosi da qualche grosso trauma. Macchina a mano, montaggio nervoso, il suo inquieto girovagare per la città lo farà venire a capo, con l’aiuto di un amico dal background non meno tormentato, di due sparizioni avvenute in rapida successione, quella dell’amato cane Bruno e quella di un bambino, Izzy, la cui fuga da casa pone da subito altri interrogativi. Mai retorico nell’accostarsi alla dimensione privata dei protagonisti, Karl Golden riesce tramite questo pedinamento costante a suggerire atmosfere, colmare aspettative sul passato di personaggi così restii a parlarne direttamente, svelare rapporti umani all’occorrenza urticanti come pure improntati, nei casi più virtuosi, a generosità ed empatia. Ed è così che la ricerca dell’adorabile cane Bruno si trasforma, per il pubblico stesso, in una missione tanto importante quanto quella di coloro che, nel mito, inseguivano il Sacro Graal.
Stefano Coccia