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Break The Scene: JAPAN

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VOTO: 7.5

 La breakdance nel Paese del Sol Levante

Finalista tra i cortometraggi alla 2ª edizione dell’Hip Hop CineFest, ma soprattutto vincitore proprio della sezione Short Documentary come abbiamo da poco appreso, Break The Scene: JAPAN del francese Sylysak Taido è un ritratto dell’arte della breakdance vista attraverso gli occhi di chi la pratica.

Il regista, originario di Châteauroux ma residente a Parigi, già da alcuni anni dedica i suoi film alle performance dei breakdancer, incontrati durante i suoi viaggi; in questo breve reportage, Taido ci mostra le peculiarità dei B-boys e delle B-girls giapponesi, ammirati per quel loro tocco particolare, dato dal rigore derivante dall’educazione prettamente nipponica per la disciplina. Samurai della break, ci verrebbe da definirli. Nei brevi ma concisi ritratti degli artisti intervistati da Taido, il duo Yui e Takara, la campionessa mondiale Ami, emerge soprattutto la loro grande professionalità, che si esprime non solo attraverso l’allenamento e l’affinamento della tecnica, ma finanche nel programma nutrizionale, come dagli insegnamenti del Maestro Sakuma; Sakuma San e Katsu, che imita alla perfezione Michael Jackson, i modelli da seguire, per diventare Top Level Dancer e quindi professionisti della Break.

Cyphers, Locking e Breaking, Crew e Family, Battles; il linguaggio prettamente tecnico, ma riconoscibile in tutto il mondo hip hop, parlato nel breve documentario, mostra la portata internazionale di quella che è, a tutti gli effetti, un’arte. Come ben espresso dai B-Boys francesi Thieng ed Eighteen, la Breakdance è, appunto, una dance, una danza; un’arte che unisce, che supera le barriere del linguaggio, in cui puoi crescere dentro, esprimere te stesso, creare, sperimentare, infine confrontarti con stili diversi provenienti da culture diverse (“dallo stile riconosci la Nazione”).

Un’arte ma anche uno sport: crescono infatti le competizioni internazionali, le Battle Break; in Giappone nasce il Super Break, cui partecipano team provenienti da tutto il mondo, dagli orientali Vietnam e Corea del Sud agli Usa e alla Russia. Perché nello sport, come nell’arte e nella cultura, non ci sono guerre aperte ma costruttivo confronto e leali competizioni. Per concludere come il breve ma intenso documentario di Taido: “Giù il cappello per il Giappone. Pace.”

Michela Aloisi

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