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Brain on Fire

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VOTO: 8.5

Un’incredibile storia vera

Netflix stupisce con un altro film in archivio degno di nota. Parliamo di Brain on Fire, lungometraggio scritto e diretto da Gerard Barrett (al suo terzo lungometraggio da regista) ispirato alla figura di Susannah Cahalan. Il film racconta la storia di lei quando le fu diagnosticata una rarissima e gravissima forma di malattia del cervello che la stava lentamente uccidendo alla giovane età di 21 anni. Susannah, interpretata da una bravissima Chloë Grace Moretz – ormai diventata una delle attrici più ricercate di Hollywood – è una giornalista assunta da poco al New York Post. E’ il raggiungimento di un sogno per la ragazza che si ritrova a lavorare per uno dei quotidiani americani più importanti della Grande Mela. Tuttavia, con la pressione del lavoro, avviene un conseguente aumento delle responsabilità e dello stress che iniziano a giocarle brutti scherzi. La giovane giornalista infatti, inizia ad essere intrattabile con ospiti e colleghi, a scrivere male i suoi pezzi e ad avere delle crisi epilettiche. Preoccupatisi per lei, sua madre (Carrie Ann-Moss – Matrix) e suo padre (Richard Armitage – Lo Hobbit), iniziano a consultare medici e specialisti per capire cosa abbia Susannah. La ragazza però, non sembra propensa a farsi curare semplificando il tutto a semplici crisi dovute allo stress per il troppo lavoro. Quando però la situazione peggiora, con il passare del tempo, la ragazza è costretta a sottoporsi alle cure che sembrano però non avere nessun effetto. Infatti, tutti i medici che hanno avuto modo di visitarla, non sono riusciti a capire quale sia il male che affligge la ragazza. La situazione peggiora e Susannah sembra ormai prossima a morire. Fortunatamente però, viene contattato uno specialista che, tramite una semplice visita neurologica, individua il problema della ragazza. Ella infatti, ha letteralmente il cervello in fiamme (da cui il titolo del film) dovuto al troppo lavoro e alle continue esperienze di vita. La sindrome viene curata e la ragazza può tornare al suo lavoro e alla sua vita come se niente fosse accaduto.
Questo lungometraggio nasce per raccontare la storia della giovane giornalista che tutt’ora oggi lavora al New York Post. Il film è un racconto semplice e ben curato, sia nella regia che nella scrittura. La sceneggiatura del film non è lineare ma è costruita con un stile in medias res. Il livello di recitazione della Moretz, che presto rivedremo in Suspiria di Guadagnino e Greta con Isabelle Huppert, è alto. La ragazza, scelta probabilmente proprio dalla stessa Cahalan – che ha supervisionato personalmente il film – si cala perfettamente nei panni della giornalista cercando di essere il più fedele possibile a lei, sia nei comportamenti normali sia quando entra nella paranoia a causa della malattia. Del resto, la stessa sceneggiatura, è curata dalla giornalista che prima che – diventasse un film – ne aveva fatto un pezzo per il suo giornale e poi un libro nel quale raccontava l’esperienza durante la malattia. Susannah Cahalan, ancora oggi, si occupa della sanità americana e tenta di supportare e stare vicino chi è afflitto da questo genere di malattia che lei stessa ha provato sulla sua pelle. Il film è su Netflix ed è stato presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival del 2016 riscuotendo parecchi applausi ma non convincendo del tutto la critica. Tuttavia, per chi ha potuto vedere il film nel periodo successivo alla pubblicazione, ha potuto visionare una storia vera, semplice, toccante e ben fatta. E’ un film che si può considerare di ottimo livello tra le produzioni dalla piattaforma.

Stefano Berardo

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