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Bones and All

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VOTO: 7.5

Un famelico detour

Superare di slancio i confini di spazio, tempo e genere. Questo l’ambizioso obiettivo ormai evidente nella carriera registica di Luca Guadagnino, definitivamente decollata dopo le discontinue performance degli esordi.
Bones and All – la sua ultima fatica per la quale ha vinto il premio alla regia alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 – è un road movie che porta i due giovani protagonisti Maren (Tyler Russell, emozionante dal primo all’ultimo fotogramma in cui compare) e Lee (un Timothée Chalamet sempre ottimo nel mostrare determinazione e vulnerabilità) ad attraversare gli Stati Uniti, alla continua ricerca di qualcosa che finisce con il somigliare molto ad una definizione completa delle rispettive personalità. Un acuto racconto di formazione per un’opera che, come collocazione temporale ideale, avrebbe potuto anche essere girata negli anni settanta. Un grido di dolore e ribellione sommesso verso una società troppo impegnata a sopravvivere per poter anche comprendere la diversità dei due ragazzi. Senza l’attento sguardo contemplativo di un Terrence Malick e privo della rabbia di Bob Rafelson; ma anche con una profondità insolita per un prodotto di budget non indifferente. In questo senso Guadagnino, con Bones and All, rifinisce e completa il ritratto sulla gioventù iniziato con la serie televisiva We Are Who We Are (2020), incentrato sulla disperata ricerca di affermazione in un ambiente del tutto spersonalizzato.
Al pari del titolo appena menzionato anche Bones and All astrae il concetto temporale, rendendo attuali e molto contemporanei i malesseri giovanili di una vicenda che, da alcuni dettagli (ad esempio l’uso delle audiocassette), sembrerebbe collocabile temporalmente negli anni ottanta. E sin qui tutto nella norma, poiché Guadagnino ha spesso riservato ad un sofferto percorso di crescita il proscenio principale delle sue opere, vedasi i recenti Chiamami col tuo nome (2017) e Suspiria (2018). Tuttavia, come quest’ultimo titolo, anche Bones and All – letteralmente ossa e tutto il resto – sarebbe un horror, seppure abilmente mascherato da melodramma e riflessione sociale al pari di Suspiria. Perché sia Maren che Lee appartengono ad una categoria molto particolare, sono cannibali costretti a nutrirsi di carne umana per saziare i propri insopprimibili istinti. Ecco dunque spiegato il vorticoso lavoro di contaminazione tra generi operato da Guadagnino, per l’occasione ispirato dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis. La diversità come “mostruosità”, nonché l’impossibilità di vivere una vita normale proprio per la prevalenza degli istinti primari sulla razionalità che pure in molti frangenti sussiste. Un accostamento simbolico che avrebbe potuto facilmente sfociare in uno sterile didascalismo, che Guadagnino invece evita affidandosi anima e corpo alla forza dei sentimenti; ben supportato, sotto questo aspetto, dalla spontaneità dei due interpreti.
Anche per questi ed altri motivi gli si perdona più che volentieri qualche piccolo neo, come la presenza sin troppo vaga e incombente del vilain – peraltro molto atipico – Sully (un ambiguo Mark Rylance) ed un’ultima, brevissima sequenza del tutto superflua da cui traspare nella propria interezza l’affetto del director Guadagnino nei confronti dei “suoi” personaggi, comprensibilmente molto esitante nel lasciarli andare via verso la classica parola Fine.
Lasciandoci però con la consapevolezza che vivere un amore allo stato puro esige sempre un alto prezzo da pagare. Nella finzione come nella realtà, quando si devono fare i conti con un prossimo indifferente quando non apertamente ostile.

Daniele De Angelis

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