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Blue

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VOTO: 8

È importante ascoltare

Quanto può essere importante un po’ di empatia, di ascolto, quando ci troviamo davanti una persona che soffre? Non necessariamente possiamo fare materialmente qualcosa per lui e questo ci crea disagio, non sappiamo come intervenire, vorremmo ma sentiamo di non potere. Eppure, anche solo sedersi e ascoltare, far sentire la nostra vicinanza può essere un grande aiuto. Ce ne parla il giovane regista estone Tõnis Pill in questo suo Blue, cortometraggio in concorso al 16° ÉCU Festival. Confermando quello che risulta essere uno stile realista e senza fronzoli, che bada molto alla sostanza dei personaggi e dei loro contrasti interiori, il giovane autore realizza un cortometraggio che parla di perdita, concentrandosi sull’elaborazione di essa da parte di chi la subisce e dell’importanza di poter avere qualcuno con il quale aprirsi.
Fin dalle primissime scene la pellicola è molto stringata nella grammatica e nel linguaggio.
Per questa sua forma si è portati a pensare di trovarsi davanti ad un thriller, un thriller dei sentimenti. A questa definizione contrribuiscono dei flashback dall’aspetto allucinatorio e fuori fuoco, i quali aumentano l’atmosfera di tensione anziché scioglierla mentre ci informano circa l’antefatto. La protagonista Katja (Kristiina-Hortensia Port) è una madre che ha perso il figlio durante il parto; sopraffatta dal dolore non riusciva nemmeno ad occuparsi della gemella del bambino ed è scappata. L’incidente con Sass (Priit Võigemast) le ha offerto un aiuto nella sua fuga cieca. Nel finale, dal tono intimista, il ritmo si placa. L’energia nervosa dei personaggi e dell’azione si è come esaurita di botto; è il momento di fermarsi e provare a pensare e, soprattutto, capire. Quella che a tutta prima era sembrata una pazza instabile si rivela essere solo una donna ferita ed a pezzi, incapace di mettere ordine in sé stessa. Il motivo non è poi così difficile da intuire. Sopraffatta, quasi annichilita, sentiva la necessità di allontanarsi da tutto e da tutti, accecata dal suo dolore l’unica reazione della quale è stata capace è stata la fuga. Chi di noi può dirsi in grado di giudicarla? Come reagiremmo, come abbiamo reagito, in una situazione analoga? E questo ci riporta a Sass. Scaraventato in un dolore non suo, la prima reazione, quella forse più facile e naturale, sarebbe stato di ritrarsi. In fondo, non erano affari suoi, tutti hanno i loro problemi ecc. ecc.; invece decide di restare ed ascoltare. Decide di offrire quel supporto del quale le persone colpite da un grande dolore hanno bisogno e nemmeno lo sanno. Ha deciso di seguire la sua empatia, e Dio solo sa quanto Katja ne avesse bisogno. Il finale è consolatorio, certo, ma non è un male. In fondo abbiamo bisogno di essere consolati, di sapere che al mondo esiste il bene. È come la frase di Madre Teresa: “Non tutti possiamo fare grandi cose, ma tutti possiamo fare piccole cose con grande amore”; anche solo sedersi e tentare di consolare chi è triste, non si sa mai, magari contribuiremo a cambiare il mondo.

Luca Bovio

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