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Blockade

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VOTO: 7.5

La guerra infinita

Come ci ricorda anche il sito http://www.karabakh.it/, il 12 luglio scorso “un gruppo di incursori azeri ha tentato di entrare in territorio armeno. È stato respinto. Nel pomeriggio sono cominciati pesanti bombardamenti azeri con colpi di mortaio da 82 e 120 mm non solo verso le postazioni difensive armene ma anche contro gli insediamenti civili a ridosso del confine (in particolare il villaggio di Chinari). Un fuoristrada UAZ è abbandonato dagli azeri nella zona cuscinetto (la cosiddetta “terra di nessuno”) dove mai avrebbe dovuto trovarsi.
Insomma, il primo atto di quella recrudescenza del cruento conflitto tra Armenia e Azerbaigian scoppiato nel 1992 (con successive riprese delle ostilità sempre incentrate sull’incerta sorte del Nagorno Karabakh o Repubblica dell’Artsakh, enclave armena costantemente minacciata dalle incursioni militari azere), che nei mesi scorsi ha di nuovo insanguinato tale regione del Caucaso. Tutto ciò nella sostanziale indifferenza di un mondo totalmente ripiegato sull’emergenza sanitaria in corso. Nonostante poi il fatto che alla causa azera sia giunto l’immediato sostegno della Turchia di Erdogan, capo di stato sempre più autoritario e affamato di potere i cui interessi collimano con quelli del “collega” Aliyev, di fatto dittatore a Baku. Nel caos generato dalla pandemia i media internazionali non hanno probabilmente prestato alla vicenda l’attenzione dovuta. E riguardo all’Italia può far sorridere (per quanto possibile in una sì drammatica situazione) che al sottoscritto, di fede giallorossa, la maggior parte degli aggiornamenti sulla guerra e sui civili bombardati provenisse dalla pagina FB di Henrikh Mkhitaryan, stella armena della AS Roma…

Una sensazione angosciante si è perciò manifestata subito di fronte alle immagini di Blockade / Blocus, documentario presentato in anteprima internazionale al 32° Trieste Film Festival. Sin dal videomessaggio d’apertura. Anche perché l’autore, quell’Hakob Melkonyan esule prima in Germania e poi in Francia, invece del suo volto ha voluto mostrare i recentissimi bombardamenti su Step’anakert, la capitale dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Come una disperata richiesta d’aiuto. E l’angoscia è diventata senz’altro più forte, quando il documentario vero e proprio è iniziato definendo l’identità dei luoghi rappresentati.
Ricordate Chinari, la località di confine citata all’inizio dell’articolo, in quanto oggetto di una delle spedizioni punitive compiute dagli azeri questa estate? Ebbene, proprio lì Hakob Melkonyan aveva effettuato le riprese del suo film. La scelta del regista armeno, che la guerra sembra conoscerla bene, è quella di seguire la quotidianità di un modesto nucleo famigliare la cui abitazione si trova proprio in prossimità di Chinari, a un tiro di fucile (letteralmente…) dalle postazioni azere. Ciò che ne consegue è il ritratto di una “normalità” stravolta. Persino andare nei campi o raggiungere una vicina chiesetta di pietre risalente al XIII secolo può voler dire attirare l’attenzione dei cecchini, incrociare qualche pattuglia nemica dalle intenzioni poco amichevoli, esporsi ad altre situazioni sgradevoli o addirittura pericolose.

Tra ragazzini che si divertono un mondo a giocare con fucili di legno e altri che fanno la stessa cosa, pur augurandosi la pace e chiedendosi – giustamente – se anche i loro coetanei azeri non preferirebbero forse una vita più tranquilla, esce fuori lo spaccato di una società militarizzata, in costante allarme, abituata a prendere mille precauzioni e a guardare con timore le colline poco più avanti. Il pathos che accompagna l’esistenza della comunità armena di Chinari è evidente, ma in Blockade anche lo sforzo di condurre giornate “normali” in una situazione che di normale ha ben poco cattura lo sguardo dello spettatore, rendendolo emotivamente partecipe di un dramma silenzioso, pigramente ignorato dai telegiornali nostrani, restituito invece alla sua vera essenza dalla regia meticolosa e matura di Hakob Melkonyan.

Stefano Coccia

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