L’amore alla prova della quotidianità
La 34esima edizione del Torino Film Festival si è inaugurata con un film – Between Us – in linea con la kermesse, optando per il cinema indipendente americano.
I trentenni Henry (Ben Feldman) e Dianne (Olivia Thirlby) sono perdutamente innamorati o almeno così sembra. Come si sa, però, la vita a due e di un potenziale nucleo famigliare è ben diversa da quella di chi pensa da single. L’incipit vuole essere simbolico e tornerà, a suo modo, come una chiusura del cerchio, nell’epilogo. Una nuvola nel salotto di casa presagisce qualcosa.
Sin dalle prime scene i due devono fare i conti con la realtà della vita di coppia, stimolati anche da input esterni. Adesso hanno, appunto, trent’anni, non si può più “scherzare” né, soprattutto, c’è più la spensieratezza della gioventù. A ricordar loro questa condizione sono, pure, gli stessi famigliari che cercano di indurli a comprare casa e a metter su famiglia; in realtà, istintivamente, Henry e Dianne continuerebbero a condurre una vita da bohémienne, in un appartamento in linea con questo stile. L’acquisto della casa diventa un “pretesto” che fa venire a galla certi non detti (che continuano, volutamente, a non essere esperiti con la parola) e interrogativi su cosa si voglia davvero a partire dal presente e nel futuro immediato.
Nella visione di Rafael Palacio Illingworth per fare i conti con se stessi e con l’altro bisogna passare, o forse sarebbe meglio dire, attraversare alcune tappe che, purtroppo, toccano alcuni stereotipi. Dall’altro lato, però, uno dei pregi di quest’opera risiede nel modo di mettere in scena questa “analisi” del rapporto di coppia, con uno sguardo quasi documentaristico, che ora si mantiene lontano dai protagonisti, inquadrandoli nel proprio ambiente, ora si avvicina per catturare gesti ed espressioni del volto. Il regista di origini messicane sembra essere affezionato a questo tema dato che già nel suo esordio nel lungometraggio (Macho, del 2009) aveva posto al centro la coppia. Sia a livello di sceneggiatura che di rappresentazione cerca di mettere in campo le influenze che gli derivano da Cassavetes che, come ben spiega Ray Carney, «limita il nostro punto di vista. La percezione di una scena da parte del pubblico (sia otticamente che intellettualmente) non è di regola più accurata o meglio informata di quella di un personaggio all’interno di essa. In effetti, si dà spesso il caso […] che la visione di una scena o di un personaggio da parte del pubblico […] non solo sia più autorevole, ma nemmeno diversa da quella di un altro personaggio nella scena. Come osservatori, ci ritroviamo quasi esattamente nella situazione ottica e immaginativa di uno dei suoi personaggi di contorno». Non è semplice stare dietro a un insegnamento simile, in cui ogni elemento e l’opera stessa sono colti nel loro divenire e nulla sembra dato come definitivo. Questa strada sembra esser presa in considerazione da Illingworth.
Il “problema” è che se da una parte Between Us comunica anche nella sua conclusione quanto non ci sia un giudizio da parte di chi ha concepito e realizzato il film, ma più uno sguardo realistico su certe dinamiche amorose e sociali; dall’altra manca – se non a tratti – la forte empatia con la platea di turno. A far quasi da controcanto ci viene spontaneo citare Blue Valentine di Derek Cianfrance (2010) e Alabama Monroe per la regia di Felix Van Groeningen (2014): si tratta innegabilmente di storie diverse, in cui lo spettatore vive e partecipa totalmente alle gamme di sentimenti che i due provano. In Between Us ci si immedesima in alcuni cliché e si assapora anche il “gusto” di alcuni silenzi, ma manca quel vortice emotivo che riesce a toccare quelle corde ancora più personali.
Maria Lucia Tangorra