La verità a portata di click
Dopo avere visto un documentario come Bellingcat: Truth in a Post – Truth World, presentato nel concorso internazionale della quinta edizione di Visioni dal Mondo, l’abitudine di fidarsi a scatola chiusa delle notizie che circolano alla velocità di un click in maniera selvaggia e del tutto incontrollata in rete e nei media in generale verrà messa seriamente in discussione. Della serie fidarsi è bene, ma non fidarsi è ancora meglio.
Il film di Hans Pool esplora con grande efficacia la promessa di un’investigazione open source, ossia su dati e informazioni rintracciabili su supporti digitali accessibili a tutti, portando lo spettatore all’interno del mondo esclusivo del “citizen investigative journalism”. Qui un collettivo conosciuto come Bellingcat si adopera per far luce sulle verità nascoste e sulla lotta per l’integrità giornalistica nell’era delle fake news e dei fatti alternativi.
Dunque si assiste per l’intera durata della timeline a una “congiunzione astrale” che vuole l’approfondimento del tema in questione portato avanti dal regista agganciarsi per poi proseguire a braccetto con quello investigativo messo in atto dal team capitanato dal fondatore Eliot Higgins. Pool e la sua macchina da presa si gettano all’inseguimento dei membri di Bellingcat, rimbalzando nel battito di un frame da un angolo all’altro del pianeta per intervistare i singoli componenti e per vederli in azione mentre mettono in pratica i metodi comuni al gruppo per la ricerca della verità. Il tutto con il modus operandi, le rivelazioni scottanti e il ritmo serrato da spy story tipici dei documentari investigativi come Do Not Resist, Colectiv, Citizenfour, Zero Days o Crime + Punishment. L’odore del thriller di conseguenza si attacca e non va più via, rendendo la fruizione più o meno coinvolgente a seconda dei diversi casi affrontati individualmente o collettivamente dai bellingcats.
I primi minuti suggerisco allo spettatore di turno che l’argomento principale del film sia la ricerca sul caso MH17, il volo di linea operato dalla Malaysia Airlines in servizio il 17 luglio 2014 fra Amsterdam e Kuala Lumpur abbattuto da un missile terra-aria mentre sorvolava la zona orientale dell’Ucraina e che provocò la morte di tutti i 283 passeggeri e dei 15 membri dell’equipaggio. Ma con lo scorrere della narrazione, l’autore cambia ben presto le carte in tavola mutando drasticamente la fisionomia del documentari, spostando il focus sull’operato dell’associazione online su tutta una serie di altri casi ugualmente intricati. Casi che vanno dai crimini in Siria all’avvelenamento da Skripal, passando per l’autobomba esplosa al mercato di Baghdad. E come le prove verranno a galla è assolutamente sconvolgente, specialmente al giorno d’oggi, quando la verità sembra sempre più difficile da trovare con i governi che diventano meno affidabili. In tal senso, il valore informativo e documentale del quale l’opera in questione si è fatta portatrice sana è decisamente elevato, tanto da rappresentare il motivo principale d’interesse nei suoi confronti.
Dove invece Bellingcat: Truth in a Post – Truth World viene meno sono i rischi che quotidianamente i membri del collettivo corrono e le conseguenze del loro operato in termini di sicurezza personale e delle rispettive famiglie. Non che l’argomento non venga toccato, ma Pool lo sfiora di tanto in tanto per restituire l’umanità ai soggetti e riconoscere l’importanza di quello che fanno. Il rimprovero che si può fare è di non avere approfondito di più questo aspetto, così da restituire al pubblico la sfera più intima e le vere motivazioni che li guidano, al di là della lodevole ricerca delle prove. Tutto ha delle conseguenze psicologiche e fisiche, mentre qui le possibili e concrete conseguenze vengono raccontate solo in superficie. Ed è qui che il documentario perde qualche punto dal punto di vista della capacità performativa.
Francesco Del Grosso