L’angelo tra le fiamme della Terra dei fuochi
Locarno, Toronto, Viennale e Torino (pre-apertura della 33esima edizione) come tappe festivaliere di avvicinamento all’uscita nelle sale nostrane il 19 novembre con Istituto Luce Cinecittà. Un percorso di tutto rispetto, questo, per il ritorno alla regia di Pietro Marcello che, con Bella e perduta, approda nei cinema sull’onda dei riscontri favorevoli raccolti all’estero da parte della stampa straniera. Noi non possiamo fare altro che accodarci alla scia di apprezzamenti, esprimendo sulle pagine di Cineclandestino un parere altrettanto positivo nei confronti di un’opera drammaturgicamente e visivamente di grandissima forza, compattezza, bellezza e libertà. Ci si trova, infatti, al cospetto di un’ammirevole e coraggiosa espressione di creatività artistica, che ha fatto della condizione di indipendenza produttiva – voluta e non imposta – il mezzo per sfuggire alle pratiche logore, agli schemi e ai preconfezionamenti, così come era stato per il prluri-premiato La bocca del lupo.
Su entrambi i fronti, l’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista casertano si muove come un corpo estraneo nel panorama cinematografico tricolore. Ciò non può che estraniarla dalla massa, in quanto “oggetto” ibrido e non esattamente catalogabile, trasformandola di fatto in un qualcosa che andrebbe visto e supportato con maggiore incisività, magari con un numero superiore di schermi rispetto a quelli inizialmente messi a disposizione dalla distribuzione italiana (solo quindici misere copie). Ci rendiamo perfettamente conto delle difficoltà nel distribuire e veicolare un film che non strizza in nessun modo l’occhio a qualsiasi voglia aspetto commerciale, poiché orgogliosamente autoriale, ma uno sforzo in più in termini di numero di copie, anche minimo, forse potrebbe aumentare le opportunità di visibilità di un’opera che le merita per un sacco di buoni motivi, a cominciare da ciò che racconto e da come lo racconta.
Il cuore pulsante del plot e della sua trasposizione è la chiave fiabesca calata nel reale. Tale approccio alla materia narrativa genera di riflesso uno sguardo cinematograficamente arcaico, surreale, onirico, sperimentale, poetico, romanticamente rivolto al passato e ai bei tempi che furono. Al centro del film un tema universale come quello del rapporto tra uomo e natura, che in Bella e perduta viene sviscerato con intensa partecipazione agli eventi e vicinanza ai personaggi che li vivono sullo schermo. Ne scaturisce uno script che ha nel proprio dna una stratificazione che si alimenta a sua volta di archetipi (il Pulcinella che non è il personaggio della Commedia dell’Arte ma come antico tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti), ma anche di simboli iconografici, significati e significanti. E nel sottosuolo della scrittura e della sua messa in quadro, così ricca di linguaggi (in particolare quello del documentario) e istanze che armoniosamente coesistono, scorrono per poi affiorare in superficie messaggi politici e di denuncia (dalle lotte ambientaliste nella terra dei fuochi allo stato d’abbandono di un patrimonio architettonico e culturale del nostro Paese come la Reggia di Carditello, luogo più volte violentato, saccheggiato e colpevolmente dimenticato della Istituzioni locali e nazionali).
Bella e perduta parla di coraggio e di resistenza, quelli di persone come Tommaso Cestrone, custode indomito della Reggia di Carditello che sino al suo decesso si è battuto per salvare un luogo storico. Il film è dunque un omaggio a lui e la sua assenza diventa presenza ectoplasmatica che aleggia nel racconto e nei luoghi, traghettandoci come una sorta di Virgilio tra le “fiamme” e i fumi tossici della terra dei fuochi. Lo stesso coraggio affiora anche dal lavoro di Marcello che porta a termine l’opera nonostante la morte improvvisa di uno dei protagonisti, che lo costringe a ridisegnare in corsa le traiettorie, gli intenti e le dinamiche drammaturgiche del film. Un film, questo, che sotto il segno della resistenza viene impresso sulla pellicola 16mm scaduta, consegnando alla platea di turno un atto di rivendicazione e amore nei confronti della pellicola stessa, la cui estinzione è tristemente dietro l’angolo.
Francesco Del Grosso