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Bacurau

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VOTO: 8.5

Un puntino invisibile nella mappa

In attesa che qualche distribuzione nostrana si decida una volta per tutte a prenderlo in consegna per portalo nelle sale italiane, nel frattempo Bacurau continua a fare incetta di premi. Ultimo in ordine di tempo a entrare nel già ricco palmares del film firmato a quattro mani da Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles è stato il Black Panther Award conquistato al 29° Noir in Festival, arrivato a non molti mesi di distanza dai riconoscimenti ottenuti alle recenti edizioni di Cannes e del Sitges. Ed è proprio alla kermesse comasco-milanese, dove ha conquistato i cuori del pubblico e della giuria del concorso, che abbiamo avuto la fortuna di poggiare lo sguardo su una pellicola che non si può non amare, capace di accrescere il suo valore e peso specifico con lo scorrere dei minuti.
Quella del duo brasiliano è un’opera che, una volta ingranata la marcia, va diritta sparata come un missile telecomandato verso il bersaglio. Un vero e proprio siluro che ha nella combinazione unica di violenza e humour un propellente inesauribile, tale da creare nello spettatore un mix coinvolgente in grado di fare ridere, tremare e riflette allo stesso tempo. E pensare che gli autori sono riusciti nell’impresa raccontando in modo semplice una situazione complessa, quella di un piccolo villaggio di nome Bacurau, arroccato da qualche parte nel nordest del Brasile, alle prese con la morte della sua novantaquatrenne matriarca Carmelita e dei misteriosi accadimenti che lo hanno reso invisibile agli occhi del mondo. Le persone del posto, infatti, cominciano presto a notare alcune cose molto strane: l’approvvigionamento idrico è stato interrotto, i telefoni non funzionano, il villaggio è stato cancellato dalle mappe satellitari e un sinistro gruppo di stranieri arriva in zona con intenzioni minacciose.
Bacurau porta sullo schermo la struttura classica dell’home invasion, che fa dell’accerchiamento e della difesa dagli attacchi esterni il proprio baricentro narrativo e drammaturgico. La mente non va agli zombie-movie come sarebbe lecito ipotizzare, piuttosto a quella tipologia di confronto armato che da I sette samurai arriva sino a 13 assassini, passando per Distretto 13 – Le brigate della morte. Le dinamiche dell’uccidi o sarai ucciso restano dunque invariate, ma nonostante la facile lettura degli eventi, i due registi riescono comunque a tenere a sé il pubblico con un crescendo di tensione destinata a implodere sullo schermo in una resa dei conti grondante sangue, in un tripudio di proiettili, esplosioni, teste a arti mozzati. Ciononostante, quella mostrata non arriva ad essere una mattanza gratuita e fine a stessa, votata al ludico intrattenimento a buon mercato. Quella alla quale assistiamo è una violenza trasfigurata che si riversa nella metafora e nel messaggio politico di condanna, per puntare il dito contro un obiettivo ben preciso. Siamo infatti in un futuro non troppo lontano, quella distanza temporale minima che serve a intravedere chiaramente nelle maglie della scrittura e della sua trasposizione più di un riferimento alla condizione in cui versa la Società contemporanea. Basta avere gli occhi per saper vedere al di sotto della superficie trans-genere dalla dominante western con la quale Filho e Dornelles hanno vestito la loro pellicola, per capire quanto potente, ambiziosa e sostanziosa tematicamente parlando essa sia.

Francesco Del Grosso

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