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Autobiography – Il ragazzo e il generale

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VOTO: 8.5

Arte e catarsi

Il rapporto tra arte e catarsi era un concetto molto caro al teatro greco antico e con il quale noi mediterranei abbiamo una certa dimestichezza. Affrontare traumi collettivi e personali attraverso l’opera artistica per purificarsene è un processo che conosciamo bene. Risulta in qualche modo straniante ritrovarlo in un’opera proveniente da latitudini molto lontane dalle nostre. È quanto succede in questo Autobiography – il ragazzo e il generale, opera prima dell’indonesiano Makbul Mubarak. Nella storia, il giovane Rakib (Kevin Ardilova) si trova ad assistere il generale in pensione Purna (Arswendy Bening Swara) nella sua campagna politica per diventare sindaco del paese. Un manifesto elettorale strappato darà una svolta drammatica al loro rapporto. Per narrare questa storia dai toni molto intimi, Mubarak sceglie spesso la macchina da presa a mano e inquadrature poco usate nei lungometraggi, come l’inquadratura di quinta, che riprende la scena da sopra la spalla di un personaggio. Tramite queste scelte stilistiche, il regista realizza sequenze nelle quali la macchina da presa assume davvero la dimensione di un personaggio muto che assiste all’azione. E qui torniamo ancora una volta al teatro greco antico, con la figura ricorrente del personaggio muto che accompagna il protagonista. In tal modo l’autore riesce a ricreare nello spettatore l’illusione di assistere alla storia dall’interno, di farne quasi parte. Una scelta nella quale si trasfigura anche l’occhio del regista stesso. Con un atteggiamento che pare ricordare certi programmi documentari in cui il conduttore parla direttamente alla camera, e al pubblico, Makbul Mubarak ci porta con sé nel suo mondo diegetico. Una scelta che rende accessibile una storia altrimenti ostica per chi non conosca l’Indonesia e il suo passato. Il film, infatti, richiede un minimo di sforzo da parte dello spettatore per comprendere le dinamiche che si sviluppano al suo interno; soprattutto se questi non è indonesiano. Questo perché non ci troviamo davanti ad un’opera puramente commerciale pensata per raggiungere il pubblico più vasto possibile. Quella messa in scena, pur romanzata, è la biografia, o meglio, l’autobiografia, dello stesso regista. Il film, infatti, è ispirato alla vita di Mubarak. Figlio di un funzionario pubblico che sosteneva il regime dell’ex dittatore indonesiano Suharto, al potere tra il 1965 e il 1998, Makbul adombra qui il proprio rapporto con quell’autorità. Il rapporto tra Rakib e Purna appare improntato su di un contorto intreccio di paternalismo e sottomissione che finirà per sfociare in una violenza che, però, non appare catartica, piuttosto ciclica e incatenante. A essere catartico è il fatto da parte di Mubarak di mettere su pellicola un dissidio personale che si può leggere come sineddoche del dissidio di un intero popolo. Non cerca di dare risposte piuttosto, proprio come nel teatro greco, di offrire l’esempio per una riflessione sul proprio passato a sé e ai propri connazionali.

Luca Bovio

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