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Augure – Ritorno alle origini

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VOTO: 7

Reietti

Indipendente dal risultato, che come vedremo e vedrete essere assolutamente meritevole di attenzioni per quanto concerne le qualità narrative e tecniche espresse, Augure – Ritorno alle origini (Omen) è già passato alle cronache per essere stata la prima pellicola di finzione congolese a partecipare al Festival di Cannes. Questo è già di per sé un dato importante che ne certifica le qualità, le stesse che al termine della 76esima edizione della prestigiosa kermesse francese sono state premiate con il New Voice Prize ad “Un Certain Regard”. Un riconoscimento, questo, al quale nei mesi successivi se ne sono andati ad aggiunge altri all’interno del circuito internazionale, tra cui il premio come miglior film nella sezione “Crazies” del 41° Torino Film Festival, che sono andati ad arricchire il palmares e il curriculum dell’opera prima di Baloji (nome d’arte di Baloji Tshiani), quel tanto da convincere I Wonder Pictures a distribuirla nelle sale nostrane in versione originale sottotitolata a partire dal 18 aprile 2024 con Arthouse, la sua label dedicata al cinema d’autore più innovativo.
Per il suo esordio dietro la macchina da presa sulla lunga distanza, l’eclettico e poliedrico musicista e rapper nato a Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo, trasferitosi poi giovanissimo in Belgio prende spunto dalla sua esperienza biografica, raccontando una storia che parla tra gli altri di sradicamento, tema del quale si era già occupato nei testi delle canzoni del primo album del 2008, Hotel Impala. Lo fa ambientando gran parte del film nella sua città natale, seguendo le vicende di quattro personaggi congolesi, Koffi, Tshala, Mujla e Paco, che nonostante le differenze di genere e di età si trovano accomunati dallo stesso stigma. Koffi, congolese, è sposato con una ragazza bianca, Alice, che è in attesa di due gemelli. All’uomo sembra una buona idea tornare in Congo dopo 18 anni di esilio, per presentare la moglie, pagare la dote e ricreare un legame che si era spezzato. Alice è felice, curiosa e disponibile ad affrontare anche i disagi, ma l’arrivo la Domenica delle Palme, riserva una grande delusione. Koffi viene accolto con estrema freddezza e capisce che nulla è cambiato: pesa sempre su di lui il marchio del diavolo. È un’impronta che lo condanna e che condivide, dall’altra parte della città, con Paco, un giovane shégué tormentato dalla morte della sorellina e coinvolto in una guerra tra bande che gli impedisce di elaborare il lutto. Sono i bambini stregoni, i figli maledetti che devono essere esorcizzati, ragazzini, che indossano tutù fucsia e bianchi e sono in lotta con un gruppo rivale. Tutti loro dovranno affrontare le superstizioni e il proprio passato per poter vivere serenamente il presente. E solo attraverso il sostegno reciproco e la riconciliazione col proprio passato, potranno liberarsi dalla maledizione che li affligge.
Baloji ci immerge in una realtà crudele e violenta nota a pochi, trasferendola in un viaggio agli inferi magico e caotico che si materializza sullo schermo mediante una narrazione stratificata che prevede l’intreccio in tre capitoli delle storie di quattro persone tormentate, rifiutate dall’Africa di oggi, dove perdurano tuttavia tradizioni, credenze, pregiudizi, risentimenti e superstizioni antiche. L’autore, che in fase di scrittura è stato affiancato da Thomas van Zuylen, attinge tanto al realismo magico quanto al documentarismo per dare forma e sostanza narrativa, drammaturgica e anche visiva a un’esplorazione fantasmagorica del peso che la superstizione e le cieche credenze possono avere sul destino di ciascuno di noi. Il ché fa di Augure un’opera suggestiva, oltre che allucinante e di un’inquietante bellezza che trasuda da immagini e dinamiche cariche di una forte potenza simbolica. Ed è questa capacità di mescolare i linguaggi, i piani, si sensi e i significanti, arrivando sino alla trasfigurazione della realtà, il punto di forza di un film affascinante che può attrarre e al contempo respingere lo spettatore in virtù di questa identità camaleontica alla quale bisogna essere disposti ad adattarsi, un po’ come era stato per Neptune Frost. Ma chi conosce Baloji e ha già apprezzato le doti di artista visuale (nei precedenti cortometraggi, tra cui il pluridecorato Zombies) e musicali saprà che il suo modus operandi sfugge da visioni preconfezionate, convenzionali e addomesticate per abbracciarne altre più libere, originali e multiforme.

Francesco Del Grosso

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